Un articolo uscito lo scorso 22 febbraio su L’Unità a firma Fabio Luppini, prendendo di mira la riforma Gelmini delle scuole secondarie, esamina, indicandolo come concreto, il rischio che i nuovi regolamenti e la riduzione degli orari compromettano la posizione dei docenti precari, cancellandone di fatto ogni possibilità di assunzione. Abbiamo chiesto all’onorevole Valentina Aprea presidente della Commissione cultura della Camera una replica a tale previsione
Onorevole Aprea, una delle accuse rivolte alla riforma Gelmini sostiene che nuovi regolamenti cancelleranno i precari? Nel senso che aboliscono l’istituto del precariato o nel senso che per i docenti precari non ci saranno più posti?
Comincio col dire che in ogni caso è una notizia falsa e tendenziosa. La riforma certamente ridisegna i piani di studio in termini di materie e orari di apprendimento. Però il problema, se così vogliamo chiamarlo, delle materie e degli insegnamenti che cambiano riguarda sia gli insegnanti precari sia quelli titolari. Abbiamo davanti a noi un periodo in cui dovremo riqualificare la professionalità dei nostri docenti, alla luce delle nuove aggregazioni disciplinari, e prevedere delle nuove classi di concorso. Quindi questo riguarda la docenza italiana complessivamente, non semplicemente i precari.
Ma al di là della riqualificazione dei docenti rimane comunque la questione legata alla riduzione degli orari. Come inciderà questa sul precariato?
Certo, la riduzione degli orari nei corsi di studio comporterà un impiego minore dei docenti. Questo però non ha nulla a che fare con la stabilizzazione dei precari, perché comunque è un provvedimento che non va a intaccare le norme del turn over nella scuola italiana. Mano a mano si creeranno dei posti di lavoro, chi ha acquisito il diritto all’incarico a tempo indeterminato manterrà tale diritto. Se poi ci si vuole riferire alla formazione iniziale dei docenti, la quale prevede nuovi percorsi di formazione e di abilitazione per insegnanti di ogni ordine e grado, va detto che innanzitutto questo Regolamento non può riferirsi al nuovo anno scolastico, perché non coincide con la riforma e non è ancora passato al vaglio del Parlamento. Sono comunque previste delle norme transitorie, per le quali non sarà possibile azzerare i diritti acquisiti.
Molti lettori “comuni” non capiscono più nulla. Dal momento che lei fa politica da anni per la scuola, ma è anche capace di comprendere l’organizzazione quotidiana del servizio educativo, vuole spiegare che cosa significa organico di diritto, organico di fatto, organico funzionale? E quali conseguenze si hanno, a seconda che si adotti un tipo di organico piuttosto che un altro?
Per ragioni organizzative il Ministero deve stabilire ogni anno, in tempi molto rapidi, l’organico di diritto. Cioè quelle classi e quegli insegnanti che, sulla base delle iscrizioni del mese di gennaio, si presume funzioneranno nell’anno scolastico successivo. In base a queste iscrizioni, il Ministero organizza gli organici di diritto e su questi esegue operazioni di trasferimento dei docenti, di immissioni in ruolo, eventualmente, e di assegnazione dei docenti alle direzioni regionali.
E questo è l’organico di diritto.
Sì. Succede poi che da gennaio a luglio, e qualche volta anche a settembre, i numeri possono cambiare, proprio perché stiamo parlando di persone, di studenti, che per mille motivi possono spostarsi da una scuola all’altra, da una provincia all’altra. In virtù di nuove situazioni che si determinano si possono verificare delle modifiche all’organico di diritto. Così si arriva all’organico di fatto. Cioè a quell’organico che consente realmente a settembre, ovvero all’inizio dell’anno scolastico, il buon funzionamento di tutte le classi.
E per quanto riguarda il “misterioso” organico funzionale?
Altro non è che una quota di personale docente, privo di classe, che può aggiungersi all’organico di fatto, ma che può servire ad ampliare l’offerta formativa, alla sostituzione dei docenti, ad avere anche un pool di insegnanti a disposizione di reti di scuole. Quindi è comunque un organico, quello funzionale, che non coincide rigorosamente con il numero delle classi e degli insegnamenti. L’organico funzionale è il “miraggio” di tutti i dirigenti scolastici, perché è un valore aggiunto sul piano didattico, ma anche e soprattutto, una risorsa reale. Contro questo organico funzionale si sono espressi nel tempo tutti i ministri dell’economia. È anche vero, proprio perché ovviamente rappresenta una concreta risorsa in più, che ci si sta abituando all’idea di impiegarlo proprio per evitare costi imprevisti e imprevedibili dettati dalle contingenze scolastiche (supplenze, insegnanti per gli stranieri eccetera). Si potrà arrivare ad avere un organico funzionale di rete, dubito che lo si possa concepire per singole scuole.
Dati i pesanti vincoli posti dal Ministero dell’economia, quale spazio reale resta per l’esercizio dell’autonomia scolastica nell’organizzazione dell’offerta formativa?
Qui ci si deve intendere bene. Le quote di autonomia, più che di quelle di flessibilità, riguardano l’organizzazione didattica al 20 o al 30 per cento, ma con i docenti assegnati alla scuola. È quindi un esercizio d’intelligenza applicata che dev’essere promosso dalle singole scuole autonome, non è niente di aggiuntivo, assolutamente. Diversa è la questione della flessibilità, perché questa può portare ad una variazione di percorsi di studio. E in quei casi occorrono effettivamente autorizzazioni almeno a livello provinciale e regionale e quindi poi di sistema.
A che punto sono i provvedimenti relativi alla formazione, reclutamento e stato giuridico dei docenti?
Noi sappiamo che il regolamento ministeriale nella formazione iniziale degli insegnanti è stato già valutato positivamente dal bilancio e dal Consiglio di Stato. Siamo in attesa della trasmissione del Regolamento, da parte del Ministero, alle Camere. Non appena arriverà alle Camere, non ho dubbi che la trattazione e la valutazione partiranno immediatamente, almeno per la Commissione che io presiedo.
(Raffaele Castagna)