Jonas ha dodici anni e i grandi gli hanno preparato un mondo perfetto, ad alta sicurezza. Vive in una Comunità dove tutto ciò che può causare dolore o disturbo è stato abolito, assieme ai desideri sessuali, le stagioni e i colori. Tutto è chiaramente regolato da un controllo governativo che non lascia spazio a scelte o profondità emotive, ma neppure a incertezze o rischi. Ogni unità familiare è formata da un uomo e una donna a cui vengono rigorosamente assegnati un solo figlio maschio e una sola femmina. Ogni membro della Comunità svolge la professione che gli viene affidata dal Consiglio degli Anziani nella Cerimonia annuale di Dicembre, quando compie dodici anni. L’età di Jonas, appunto.
Ma lui non sarà l’Addetto al Vivaio Ittico o il Caporicreazione e nemmeno un Puericoltore, no. Lui è il prescelto, a lui è assegnato il compito di Accoglitore di Memorie, su di lui il cumulo delle memorie di tutta l’umanità, espunte dal vivere quotidiano di ciascuno e riversate su un solo soggetto che se ne faccia portatore e custode. È il Giver, il Donatore ossia il precedente Accoglitore, a trasmettergli queste memorie al termine del suo mandato. Una trasmissione spesso dolorosa perché conoscere i volti freddi della guerra o la sensazione di una gamba che si rompe fa male, molto male. Soprattutto quando si è soli. Ma ci sono anche i colori da conoscere, il tepore di una famiglia non preconfezionata, le luci di Natali lontani.
Jonas, ragazzo, conosce tutto quello che agli altri non viene fatto conoscere per preservarli dal dolore e dalla fatica, sa che il Congedo è la morte e che la sua Cerimonia in realtà un’eutanasia programmata. Jonas sa tutto questo, conosce l’inganno e la menzogna e prende iniziativa, quell’iniziativa che nessuno prima di lui ha mai osato prendere.
Sorprende apprendere che The Giver di Lois Lowry – appena arrivato nelle nostre librerie con Giunti, ma venduto già in più di 6milioni di copie al mondo e tradotto in trenta lingue – sia ancora vietato in molte scuole americane perché accusato di trattare in modo esplicito temi come la sessualità, l’eutanasia e l’infanticidio. Soprattutto perché il modo esplicito è semplicemente dire che i sessi e la morte esistono e che entrambi, possono avere destini assai diversi nelle mani dell’uomo.
Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo
Molti sono gli spunti offerti da questo romanzo che appassiona e sconcerta, fino a generare un finale senso di turbamento nel lettore. È quel tipo di turbamento buono, della natura di un pensiero che viene sollecitato e continua a lavorare anche quando la copertina nera si chiude sull’ultima pagina.
E il tema dell’educazione domina su tutti. È una società perfetta quella descritta in The Giver dove anche la scuola è perfetta, totalmente integrata nel sistema per formare soggetti comunitari funzionalmente integrati. Funzione è la parola chiave di questa società: ogni cosa è al suo posto, ma il posto non è stato assegnato da nessun genere di sapienza quanto piuttosto da una logica che fa dell’omologazione il suo programma dichiarato. Uniformità infatti è il lemma che più ricorre, con la maiuscola, a significare un ente supremo cui sacrificare ogni spunto di individualità e soggettività. I bambini, i ragazzi – la cui venuta al mondo è rigidamente programmata in termini sia numerici sia di requisiti – sono graziosi, obbedienti, non dicono mai bugie, chiedono sempre scusa così come accettano sempre le scuse degli altri, non rubano merendine, non si azzuffano, fanno i compiti con diligenza, ma soprattutto non pongono mai domande per paura che siano indiscrete e non corrette. Praticamente delle scimmie ammaestrate.
Il testo è abile nello spingere il gioco così in avanti da farcelo apparire in tutta la sua disumanità, ma quante volte, quando non ci piacciono, preferiremmo che anche i nostri dodicenni fossero così? Certi genitori che incontro sono molto meno sofisticati e scientificamente impostati dei grandi di Jonas, ma vivono la stessa identica tentazione: disistima e timore delle iniziative dei ragazzi, solo perché magari lontane dalle loro immagini ideali preconfezionate, e disconoscimento delle domande che iniziando a percepirsi adulti questi giovani uomini e giovani donne pongono a loro stessi (e agli altri, almeno finché glielo permettiamo). Ragazzi considerati deboli, incapaci di affrontare la realtà e da proteggere, anche con la menzogna. Mielosa perché a fin di bene.
Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo
Tutto, nel libro (ma non è così a volte anche coi nostri figli?), è in funzione di quello che sarà. L’istante non ha senso se non nella preparazione di un momento a venire che non sarà mai soddisfacente, fino all’uscita di scena che deve essere nascosta, indolore e programmata. Il futuro non esiste perché è già deciso, programmato, asservito a una logica di funzionamento di Comunità senza soggetti, solo esseri assoggettati; un eterno presente, efficiente e regolato. Anche le professioni sono decise da un Comitato, nessuno può scegliere alcunché, né compagno, né compagna, né lavoro, né amicizie. Ma così spariscono dal mondo i colori, nessuno li vede più e tutto diventa grigio. Metafora presente nel testo forse un po’ troppo facile, che tuttavia documenta quella perdita del gusto della vita che ci assale quando ci asserviamo a un puro funzionalismo.
Fanno paura i bambini di questo romanzo, così perfetti ed educati; hanno però il pregio di far emergere una strana inquietudine che segnala quanto l’utopia non sia così lontana da noi, anzi come sia, seppur a brandelli e disorganizzata, già presente nei nostri pensieri. Individui ingannati e smarriti dentro una massa omogenea, in cui tutto si gioca extra-rapporto in una placida cortesia di facciata. Senza risposte perché senza domande.
Utopica anche la soluzione scelta dalla Comunità relativamente alle memorie e ai mali dell’umanità. Tutto il male del mondo deve ricadere sulle spalle di un uomo solo, l’Accoglitore di Memorie, ciò per cui Jonas è il prescelto. Eppure questa soluzione non ha nulla di salvifico e le sue conseguenze, sociali e individuali, descritte nel romanzo non lasciano dubbi. Segno evidente che il male non può essere estirpato, può solo essere redento.