In questi ultimi giorni sono comparsi, su alcuni quotidiani “informati” dall’agenzia DIRE, articoli che hanno accusato le scuole paritarie di non accogliere con espedienti o esplicitamente rifiutare le iscrizioni di alunni disabili. La mia intenzione non è quella di contestare quanto affermato a seguito di dichiarate ricerche sul campo, ma per lo stesso principio (appellandomi al senso di deontologia professionale e di rispetto della verità che dovrebbe – anche oggi – caratterizzare il mondo della carta stampata), chiedo che siano pubblicate e diffuse dai giornali anche quelle testimonianze che delineano un quadro ben diverso della situazione.



Non so quali e quante scuole paritarie rifiutino o abbiano rifiutato l’iscrizione di bimbi disabili. Se ce ne fossero, sarebbe giusto intervenire perché ciò, in base alla Legge 62/2000, non è consentito. Non mi stanco e non mi stancherò di ripetere, però, che le scuole paritarie fanno di tutto e di più per accogliere e seguire adeguatamente anche gli studenti portatori di handicap. Le difficoltà indubbiamente esistono, e fanno capo a quella medesima legge di parità che ha sancito obblighi senza fornire gli strumenti adeguati per adempierli, cosicché le scuole paritarie non hanno a disposizione gratuitamente – a differenza delle statali, ma pur facendo parte per legge del medesimo sistema nazionale integrato di istruzione – i docenti di sostegno. Conseguenza logica è che il costo dell’insegnante ricade interamente sull’Ente gestore (e talvolta, in parte, sulla famiglia), che normalmente ha già bilanci in affanno. Vogliamo, come è giustamente scritto nell’articolo pubblicato dal Corriere on-line il 25/2, “Disabili e scuole private: un rapporto difficile”, consentire una reale possibilità di scelta educativa alle famiglie? Bene, allora portiamo a compimento anche la parità economica, magari finanziando proprio le famiglie, attraverso il meccanismo delle detrazioni/deduzioni. Il figlio diversamente abile ha bisogno del sostegno e questo, in una scuola paritaria, costerebbe diverse migliaia di euro? Allora diamo alla famiglia la possibilità di detrarsi i costi, almeno in misura rilevante. È così difficile?



Ma, per tornare alla vita vissuta, voglio riportare una testimonianza di accoglienza e attenzione alla disabilità maturata nell’ambito di una scuola paritaria. È solo una fra le numerosissime testimonianze che potrei citare e documentare. Ho dunque chiesto al professor Giuliano Romoli di parlarci dell’esperienza nella sua scuola, la “Spallanzani”, di Sant’Antonino di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia.

(Marco Lepore)

 

 

Sta montando sui giornali una polemica faziosa contro le scuole paritarie sul tema degli alunni disabili. Come dirigente di una scuola paritaria della provincia di Reggio Emilia, la scuola primaria e secondaria di primo grado “Vladimiro Spallanzani” di Casalgrande, sento il dovere di intervenire nel dibattito con la speranza che l’evidenza dei fatti abbia ancora il potere di scalzare il pregiudizio, così da poter affrontare il problema con serenità e nella prospettiva di un reale miglioramento del nostro sistema scolastico.



L’attenzione agli alunni con problemi di comportamento o di apprendimento è connaturata con le origini della nostra scuola, che fin dagli inizi, a metà degli anni 70, è stata frequentata da bambini gravati da pesanti situazioni di disagio familiare, con inevitabili conseguenze sul rendimento scolastico.

Divenuta paritaria con la legge Berlinguer (62 / 2000), la scuola ha continuato ad ospitare un alto numero di alunni “problematici”, situazione che ci ha condotto ad elaborare nel tempo metodologie didattiche innovative.

Inizialmente alcune insegnanti si resero disponibili a seguire nelle loro ore libere alunni che presentavano forti difficoltà di apprendimento, ottenendo risultati positivi e a volte sorprendenti. Ritenemmo pertanto di dover intensificare l’attività di recupero, assumendo educatrici adibite esclusivamente a tale attività.

A poco a poco si delinearono modalità didattiche che riguardarono l’intera attività della scuola, che si evolse in senso fortemente personalistico, a beneficio non solo degli alunni in difficoltà, ma di tutti gli alunni in genere. Da questo percorso sono maturati un metodo per il recupero delle difficoltà di apprendimento e uno stile didattico originali.

Gli assi portanti della nostra metodologia didattica sono tre: forte senso di unità e corresponsabilità educativa da parte di tutto il personale della scuola (docente e non docente), disponibilità a comunicare e collaborare sia nei momenti strutturati che nei rapporti informali, didattica personalizzata.

 

 

Nell’anno scolastico in corso su 156 alunni iscritti vengono seguiti 8 alunni certificati (di cui 2 gravissimi) e altri 29 con D.S.A. o altre difficoltà di apprendimento, impiegando 11 insegnanti tra sostegno e recupero, per complessive 184 ore settimanali.

I nostri alunni non pagano alcuna retta aggiuntiva per il sostegno. Vengono utilizzati, a questo scopo, i fondi statali previsti per la scuola elementare e i contributi di Comuni particolarmente sensibili al problema della disabilità.

Abbiamo osservato che il nostro metodo non solo consente l’apprendimento dei contenuti essenziali da parte degli alunni “meno dotati”, ma favorisce anche la socializzazione all’interno della classe, perché nessuno si sente escluso e tutti, sia pure con diverse modalità, partecipano alla comune avventura della conoscenza. Questo aiuta a prevenire la progressiva emarginazione degli alunni con difficoltà di apprendimento e a contenere i problemi disciplinari ad essa collegati.

Gli insegnati di classe partecipano a questo lavoro in vari modi. Innanzitutto mantenendo un rapporto organico e costruttivo con le insegnanti di sostegno – recupero, poi adottando criteri didattici attenti alle diverse peculiarità di apprendimento.

Nell’esposizione dei contenuti, ad esempio, impostano la lezione secondo criteri di gradualità, a partire dai contenuti essenziali; utilizzano strumenti compensativi (schemi esemplificativi, mappe, tabelle ecc…) spesso ideati da loro stessi, applicano accorgimenti per mantenere sempre vigile l’attenzione (leggere le note a margine, leggere il testo di un certo esercizio,ripetere le consegne ecc…), valutano gli alunni facendo attenzione al processo di apprendimento, più che ai risultati finali.

E i risultati non mancano. Una nostra alunna, alla quale era stata diagnosticata una grave forma di dislessia in terza elementare, seguita intensamente e sistematicamente sia a scuola che a casa fino alla terza media, si è iscritta nell’anno scolastico in corso al liceo classico, riportando voti superiori al sette in molte materie, in particolare in italiano e latino.

Il nostro lavoro è conosciuto e stimato non solo dai genitori, ma anche dai presìdi socio – sanitari del territorio in cui operiamo (il comprensorio delle ceramiche): siamo considerati il punto di eccellenza per il recupero dei disturbi di apprendimento.

Abbiamo calcolato che, prendendo in carico i suoi 156 alunni tra cui gli 8 certificati, la nostra scuola fa risparmiare allo Stato 1.094.000 € l’anno.

Non è giusto. Non è giusto suggerire subdolamente l’idea calunniosa che avvenga esattamente il contrario.

Chi lo fa si rende complice dello sfacelo in cui versa il nostro sistema scolastico, impedendone una vera e costruttiva evoluzione.