Ulf è un bambino sui dieci-undici anni, piuttosto grassottello e con i piedi piatti. È un po’ imbranato, ha degli amici che frequentano la sua classe,ognuno dei quali è impacciato in qualche campo. Con loro fa giochi e affronta curiosità di varia natura. Ha un fratello di due anni maggiore, alto e magro, che lo tiranneggia. Il padre, dentista, si distende sul tappeto persiano della sala per ascoltare ad occhi chiusi la musica di Paganini. La madre prepara ottimi dolcetti, che Ulf porta a scuola e distribuisce agli amici, e coccola il piccolino di casa.



Tutto procede nel consolidato tran tran fino a quando arriva a scuola Percy, un nuovo compagno un po’ sbruffoncello che sfida le regole della comunità scolastica. Ulf è affascinato da tanta spavalderia e sicurezza nell’agire del nuovo compagno; ad un certo punto Percy gli confida che lui può fare tutto perché le sue scarpe sono magiche. Sono scarpe da ginnastica che sembrano “topi di fogna annegati” tanto sono logore e sporche. A quel punto Ulf non desidera altro che venire in possesso di quelle scarpe che gli risolverebbero la vita, le sue paure, la sua goffaggine. E, quando Ulf riesce a barattare numerosi suoi beni preziosi in cambio delle scarpe di Percy, la vita subisce una virata eccezionale e si trasforma. Agisce con un ardimento e una sicurezza che rasenta l’incoscienza e che turba perfino lo spavaldo Percy. E di avventura in avventura si giunge ad un finale sorprendente.



Questa in sintesi la trama del libro per ragazzini Le scarpe magiche del mio amico Percy (Feltrinelli, 2006), di Ulf Stark, considerato in Svezia e nel mondo uno tra i maggiori scrittori di letteratura per l’infanzia e tra gli autori più amati dal giovane pubblico.

Ulf Stark «affronta nei suoi libri, anche quelli dedicati ai più piccoli, argomenti in genere ritenuti tabù, come la morte e, pur se solo “di striscio”, la scoperta della sessualità, fase importantissima nell’evoluzione dei ragazzini, che però viene un po’messa da parte nei libri per ragazzi. Con la sua consueta leggerezza e il suo immancabile senso dell’umorismo, Ulf Stark riesce a cogliere, in pochi fotogrammi, il dramma dell’adolescente che si ritrova all’improvviso diverso dal bambino che era, incapace di rapportarsi all’altro sesso nella maniera spontanea di pochi mesi prima. L’aspetto che interessa Ulf Stark è soprattutto quello delle fantasie, il gusto del proibito fine a se stesso di cui magari ancora non si comprende appieno il significato, la ricerca di una nuova identità perché quella di bambino è andata irrimediabilmente perduta». Così il giudizio della sua traduttrice italiana Laura Cangemi.



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Senza demonizzare gli accenni alla sessualità che viene proposta come scoperta offerta dai coetanei, ci sono alcuni punti che lasciano perplessi e che pongono la domanda sulla pertinenza della lettura del libro da parte di bambini/ragazzini. Lo sfondo della vicenda non contempla la presenza di adulti significativi. I genitori di Ulf sono brave persone chiuse nel loro mondo di sogni e di immagine ideale del proprio figlio, anche quando la realtà chiederebbe loro di interrogarsi e di interagire con il figlio. È significativo il crescendo di accuse fatte dai vicini a Ulf di fronte alle quali la madre oppone la sua certezza incrollabile nella bontà del figlio (“Il mio piccino non può fare queste cose!”) . La maestra adotta un atteggiamento di “vivi e lascia vivere” nei confronti di Percy che può infrangere le regole quando vuole.

 

Le scarpe magiche diventano il deus ex machina che permette un cambiamento, talmente repentino ed eccezionale che lo stesso Ulf alla fine ne ha paura. Un elemento esterno è ciò che cambia il modo di affrontare la vita di Ulf, il quale ritrova e moltiplica la fiducia in sé. Interessante questione questa, considerata la fragilità da cui sono afflitti molti bambini/ragazzini, ma che certamente non può che confondere il ragazzino che legge da solo le pagine del libro. Potrebbe essere lo spunto per un adulto, genitore od insegnante, per dialogare con figli e alunni sulle defaillances nella considerazione di sé e sui possibili aiuti a crescere in un equilibrio tra il sentirsi incapaci e il mostrarsi 2bulletti” e provocatori. Un bambino ha bisogno di una adulto per riflettere e misurarsi sui suoi disagi e sulle sue fatiche nel crescere. Nel libro, forse volutamente, non si fa cenno se non molto marginalmente alle fatiche e agli inciampi che un ragazzino può trovare nel rapporto con gli adulti – genitori e insegnanti – . Il tanto declamato realismo con cui l’autore stila le sue storie sembra non tener conto dell’importanza dello stato in cui versano molti adulti oggi: problematici, impauriti, smarriti di fronte ad un rapporto educativo. Il rapporto coi pari è molto importante, ma non può essere chiuso in una bolla autarchica.

 

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Ancora la traduttrice italiana dei libri di Stark sostiene che «anche in Svezia e anche tra gli autori che hanno capito che se i lettori adolescenti smettono di leggere, il motivo è da ricercarsi nel fatto che i libri che a loro si rivolgono non parlano il loro linguaggio, vige ancora una certa autocensura». È un’affermazione pericolosa che ricorda l’atteggiamento che assumono certi adulti che si trasformano in “amici” e “pari” dei ragazzini per essere più vicini a loro. Ma l’adulto non si avvicina al ragazzino se usa il suo linguaggio – anzi il suo “slang” – se fa propri gli interessi e le curiosità del ragazzo stesso. L’adulto è un passo più avanti del figlio/alunno, è un punto di riferimento che a volte può far fare fatica ma che è una garanzia di una solidità a cui aggrapparsi nelle fatiche e nelle difficoltà, e un ascoltatore attento delle conquiste e delle gioie della vita.

 

In buona sostanza. Un libro come questo non va tanto demonizzato per alcuni suoi contenuti “censurabili”, quanto per un’immagine/sfondo che suggerisce un’autoalimentazione della propria persona da parte del ragazzino, senza rendere evidente l’opportunità e il bisogno di punti di riferimento per una autentica crescita equilibrata. È un libro, questo citato, che non dovrebbe essere dato in pasto ai piccoli lettori senza una adeguata preparazione: richiede un accompagnamento nella lettura da parte di un adulto. Va da sé che non si dovrebbe mai dare da leggere un libro ai ragazzini prima di averlo letto noi adulti. In un libro non dovremmo trovare moralismo, ma spunti di riflessione e di pensiero.

 

E non basta un linguaggio vicino ai ragazzini per suscitare interesse alla lettura: ogni libro è un dono, ma è l’adulto che deve dimostrare che è innanzitutto un dono prezioso per sé e un’interfaccia per accendere un dialogo sulla vita.

Tempo fa si affermava che la lettura è “un’esperienza secondaria”. Facciamo in modo che i nostri figli o alunni incontrino esperienze provocanti, gradevoli, significative, non necessariamente tristi o penose. Si può imparare su di sé e sulla vita anche da un racconto umoristico. Se scelto con oculatezza.