La riforma della scuola secondaria superiore, avviata con l’approvazione dei Regolamenti di riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, chiama in causa i docenti e la loro capacità di muoversi responsabilmente tra nuovi documenti, quote di autonomia, quadri orario da ripensare. Si sta aprendo una nuova pagina dell’aggiornamento in servizio. Come? Con quali prospettive?



La formazione in servizio dei docenti è un diritto ma fatica ad essere contemplata, oggigiorno, come un dovere accordato senza troppe difficoltà dall’amministrazione e incentivato economicamente. Il Contratto nazionale della scuola (quadriennio giuridico 2006-2009) all’art. 26 recita che la funzione docente «si fonda sull’autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio».



L’aggiornamento e la formazione sono parte integrante della stessa attività di insegnamento: per questo gli insegnanti hanno diritto all’utilizzo di cinque giorni nel corso dell’anno scolastico. Tuttavia, la fruizione dei permessi per l’aggiornamento è determinata a livello di ogni istituzione scolastica in relazione alle esigenze di servizio: dipende cioè dalle necessità organizzative della scuola, piuttosto che dalla libera iniziativa del singolo docente di integrarsi nel piano dell’offerta formativa della scuola.

Per il personale Ata (amministrativo, tecnico, ausiliario) la qualificazione professionale è condizione per il passaggio da un profilo all’altro, ma non per gli insegnanti che non hanno progressione della carriera per motivi di merito e di titoli culturali. La necessità di adeguare le conoscenze e le competenze dei docenti alle novità implicate nei processi di riordino o riforma della scuola, sia sul versante degli ordinamenti che su quelli dei contenuti di insegnamento, ha comportato che soggetto dell’aggiornamento sia divenuta la stessa amministrazione, centrale e periferica, in prima persona o l’Università o gli enti accreditati per la realizzazione di progetti.



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Certo, anche soggetti esterni come le associazioni professionali o disciplinari possono essere riconosciuti come utili a elargire l’offerta di formazione per il personale direttivo, docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario (art. 67 c. 2 del Contratto nazionale della scuola).

Eppure, mentre le Università, i Consorzi universitari e interuniversitari, gli ex IRRE (oggi Ansas, Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica), gli Istituti pubblici di ricerca e gli Enti culturali rappresentanti i Paesi membri dell’Unione europea, le cui lingue siano incluse nei curricoli scolastici italiani, sono considerati «soggetti di per sé qualificati» per la formazione del personale della scuola; mentre le istituzioni scolastiche, singole o in rete, possono di per sé proporsi come soggetti che offrono formazione, viceversa le associazioni professionali e disciplinari sono tenute (com’è legittimo) ad effettuare un percorso che le abilita a formare docenti, sulla base del possesso di determinati requisiti.

C’è di più. Cosa succede quando formazione e aggiornamento valgono come titoli valutabili, se non ai fini della carriera, quantomeno come punteggio per le graduatorie interne agli istituti?

Ebbene, dall’anno scolastico in corso, 2009-2010, il contratto nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, sottoscritto il 16 febbraio 2010, ha introdotto tra i titoli che attribuiscono punteggio per la mobilità e la graduatoria interna non solo i corsi di perfezionamento di durata non inferiore ad un anno (punti 1), ma anche i «master di 1° o di 2° livello attivati dalle Università statali o libere ovvero da istituti universitari statali o pareggiati, ivi compresi gli istituti di educazione fisica statali o pareggiati nell’ambito delle scienze dell’educazione e/o nell’ambito delle discipline attualmente insegnate dal docente».

 

 

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Inoltre, per la sola scuola primaria, la frequenza del corso di aggiornamento-formazione linguistica e glottodidattica compreso nei piani attuati dal ministero, con la collaborazione degli uffici scolastici provinciali, delle istituzioni scolastiche, degli istituti di Ricerca (ex Irrsae, Cede, Bdp oggi, rispettivamente, Irre, Invalsi, Indire) e dell’Università, comporta allo stesso modo l’attribuzione di 1 punto.

Sono diversi ormai gli enti che, emanazione delle Università, offrono formazione a distanza e master on line. Anche la IUL (Italian University Line), Università telematica, pubblica, non statale istituita con decreto ministeriale nel 2005 (sostenuta per il 50% dall’Ansas e per il restante 50% da 5 Università: Milano-Bicocca; Firenze; Macerata; Lumsa Roma; Palermo), si sta muovendo nella direzione dei master di 1° livello, e quindi della formazione di docenti esperti, che comportano il suddetto riconoscimento giuridico.

Tutto bene, se non fosse che una formazione concepita come erogazione di tecniche didattiche o gestionali rischia di emarginare la riflessione sull’esperienza didattica maturata a diretto contatto con la classe. Sarebbe bene, quindi, che tutta la partita dell’aggiornamento e della formazione fosse ripensata, a partire dal coinvolgimento dell’associazionismo professionale docente (con conseguente valutazione dell’aggiornamento fornito e contemporanea attribuzione agli enti erogatori di crediti da riconoscere ai corsisti), nella misura in cui esso veicola tale esperienza e la propone al mondo della scuola come culturalmente valida e innovativa.

Ansas e Iul recentemente hanno dimostrato una certa disponibilità in proposito: si tratta di avviare un percorso nuovo che comporta la valorizzazione del rapporto diretto con i docenti e con le associazioni professionali, al fine di riconoscerne il valore aggiunto di esperienza e competenza nell’ambito della formazione degli operatori scolastici.