Non sappiamo quale accoglienza riceverà dall’opinione pubblica la proposta di riorganizzazione su base regionale del sistema di arruolamento dei docenti, avanzata in questi ultimi giorni dal governatore Formigoni, forte della rielezione per la quarta volta alla presidenza della regione Lombardia, ma, soprattutto, dei successi sul campo ottenuti nel settore dell’istruzione/formazione come in altri ambiti. Successi dovuti al coraggio di innovare e di mettersi al servizio, sussidiariamente, delle esigenze reali della società civile.



Il ministro Gelmini, da parte sua, pare aver già recepito e avvalorato la proposta, poiché ieri ha parlato di un disegno di legge che a partire dal 2011 dovrà garantire la continuità didattica per un innalzamento della qualità all’interno delle scuole, affrontando il tema del reclutamento (regionale) da un lato ma anche della valutazione dall’altro. Possiamo immaginare, però, che il consenso non sarà unanime e che, anzi, si verificherà un’alzata di scudi da parte di quasi tutte le organizzazioni sindacali di categoria e di quel settore del mondo della scuola più legato ad una logica vetero-statalista, centralistica e corporativa.



Si tratta, in realtà, di una idea interessante e ragionevole, che potrebbe entrare a far parte, a pieno titolo, di quella stagione delle riforme, da più parti auspicata, che non può lasciare in disparte proprio l’educazione, come ha utilmente sottolineato il comunicato stampa congiunto emesso da alcune associazioni di scuole paritarie pochi giorni fa (“Puntare sulle riforme pensando alle future generazioni”, 15 aprile 2010).

Chiunque abbia avuto a che fare con l’istruzione dei propri figli o abbia lavorato nel mondo della scuola, infatti, sa per esperienza che è vero l’assunto che sta a monte della proposta: «per incidere sul sistema scolastico occorre primariamente lavorare sul fattore produttivo più importante per il mercato dell’istruzione, cioè sugli insegnanti, puntando su efficienza e merito».



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Non servono (o, meglio, non bastano) le riforme degli ordinamenti; non sono sufficienti le modifiche dei piani di studio e degli orari; non bastano le più o meno sottili disquisizioni filosofiche, epistemologiche e pedagogiche sull’utilità o meno di riorganizzare le discipline sulla base di conoscenze o di competenze…Tutte cose sacrosante, per carità!

E’ sufficiente, però, frequentare il pianeta scuola per un certo periodo di tempo, per accorgersi che tutto questo diventa inutile – o addirittura ridicolo – quando si abbatte su un qualsiasi istituto la più grande e difficilmente rimediabile delle sciagure: l’insegnante demotivato, impreparato, psicologicamente instabile. Evento, purtroppo, tutt’altro che raro.

Quando questo accade – e i dirigenti di scuola statale sanno bene che si può fare ben poco per porre rimedio a questa calamità – ogni velleità di riforma, ogni disquisizione di natura filosofica, ogni buona intenzione di far funzionare al meglio la complessa e delicata “macchina” dell’istruzione/educazione, va a farsi friggere. E bastano pochi docenti così per mandare in tilt un qualsiasi istituto e minarne l’immagine pubblica.

Del resto, così come si capisce facilmente che per far maturare figli è inutile cambiare l’arredamento della casa o la disposizione delle stanze, se i genitori sono incapaci di educare, violenti o assenti, altrettanto bene – e per analogia – si comprende che qualsiasi riforma (come qualsiasi dinamica educativa/formativa), per essere realizzata, necessita di insegnanti capaci e motivati, poiché sono coloro che si rapportano in classe con l’“utente” finale di ogni azione o intenzionalità dell’istituzione scolastica.

 

 

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 Per questo, non si può non guardare con interesse la proposta del governatore Formigoni, soprattutto là dove propone, «riorganizzando su basi regionali l’abilitazione dei docenti, di affidare il reclutamento direttamente alle scuole». Questa sarebbe la “madre di tutte le riforme”, il tassello più importante – ancora mancante – per realizzare quell’autonomia con cui ci si riempie la bocca in tanti discorsi sulla scuola, ma di cui, ancora, sono sostanzialmente privi i nostri istituti statali, soprattutto per ciò che concerne le questioni davvero fondamentali.

Un esempio in atto dell’ efficacia di questo sistema, del resto, esiste già: sono le scuole paritarie. In queste ultime l’ente gestore, in accordo coi propri dirigenti, ha la possibilità di scegliere gli insegnanti, che si propongono liberamente per l’assunzione condividendo il progetto educativo dell’istituto. Sta qui una delle ragioni dell’eccellenza di tante di esse, nonostante le endemiche difficoltà economiche: la scelta del corpo docente, che si identifica profondamente con la “mission” dell’Ente e, in tal modo, se ne assume la responsabilità più consapevolmente e motivatamente.

Questo, infatti, pur senza voler rappresentare un quadro idilliaco, genera conseguenze precise: dedizione all’ideale educativo e più intensa attenzione alla persona dell’alunno, maggiore disponibilità alla formazione, attenzione al particolare come alla globalità del contesto educativo, partecipazione alla vita della scuola, dialogo costruttivo e collaborazione con i genitori, etc…,

Come in ogni sano rapporto di lavoro, poi, quando il docente opera bene, si impegna, si assume responsabilità che contribuiscono alla crescita dell’intera istituzione scolastica paritaria, esiste la possibilità di riconoscerne il merito attraverso sistemi premianti; se però l’insegnante non assolve ai compiti per i quali è stato assunto, si rivela incapace o addirittura diventa di ostacolo al raggiungimento degli obiettivi educativi/formativi della scuola, può (e deve) essere rimosso.

 

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Può sembrare un discorso brutale, soprattutto per chi è abituato a ragionare con quella mentalità garantista (e immobilista) che ha trasformato la scuola italiana in un ammortizzatore sociale e così pesantemente contribuito a produrne la decadenza; troppo delicata e importante, però, è la questione educativa, perché si possa continuare così!

Di questo fattore vincente, di un corpo docente preparato, motivato e selezionato, che si offra al “mercato” con una proposta di alta professionalità, ha necessità anche la scuola statale, che dispone pure di tanti docenti bravi e volenterosi, ma paga lo scotto di un sistema di arruolamento penalizzante, rigido e contrario ad ogni logica educativa.

I numerosi ostacoli che si frappongono all’introduzione di un sistema diverso, dovuti alla sedimentazione di tante, troppe norme che vanno in direzione opposta, possono essere superati – come ha scritto su questo giornale Lorenza Violini (Prof in camicia verde, 19 aprile 2010)- «con una sperimentazione da concordarsi col Governo nazionale che non tocchi i principi di fondo della nostra legislazione ma che crei condizioni più favorevoli all’innovazione e all’incremento della qualità».

Provando a guardare con lealtà, finalmente, allo scopo vero delle istituzioni scolastiche – l’educazione/formazione delle nuove generazioni -, senza pretendere irrealisticamente di capovolgere in tempi brevi un sistema pachidermico e rigido, si possono trovare soluzioni intermedie. E’ sufficiente una politica di piccoli passi, di progetti-pilota, come quello proposto da Formigoni, che permettano un po’ alla volta di realizzare per tutto il nostro sistema nazionale di istruzione un assetto che rimetta al centro la persona dell’alunno e valorizzi, nel contempo, quella fondamentale e preziosissima risorsa che è la professionalità del docente, in un’ottica di piena e condivisa autonomia delle istituzioni scolastiche, statali o paritarie che siano.

 

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