Non si capisce su cosa Campione basi il proprio giudizio sulle politiche regionali lombarde del diritto allo studio; provo a illustrarne i principi e i risultati, sperando di rimediare a letture parziali.

La dote è uno strumento funzionale ad un approccio sussidiario, basato sul modello dei quasi mercati, in una logica che vede l’ente di governo passare dall’erogazione diretta del servizio al sostegno alla persona, favorendone la libertà di scelta nelle proprie relazioni.



In tal senso l’intervento pubblico viene sempre più a identificarsi con la regolazione dei soggetti terzi che forniscono i beni e i servizi, piuttosto che con la competenza e la responsabilità per la gestione in proprio delle organizzazioni.

Questo “modello lombardo”, che fa dell’investimento sulla persona la sua peculiarità, ha dimostrato di essere una risposta concreta ed efficace non solo per gli studenti, ma anche per i lavoratori, gli inoccupati e i disoccupati.



I risultati della dote scuola sono stati di forte impatto. Mantenendo invariato il criterio di 15.458 euro di ISEE per l’accesso, c’è stato un enorme aumento di beneficiari, in particolare per il sostegno al reddito degli studenti della scuola statale, passato in due anni da 30mila a 190mila studenti beneficiari. A questi si aggiungono altri 67mila beneficiari del buono scuola, per un complessivo investimento di quasi 100 milioni di euro.

Tale crescita dimostra che vi era una larga parte di potenziali beneficiari che non conosceva l’iniziativa o che riteneva eccessivamente complessa la procedura per ottenere il contributo.



La semplificazione dei processi e la capillare comunicazione hanno portato ad emersione questa domanda inespressa, estendendo così la politica del diritto allo studio al 25% della popolazione studentesca regionale, la più bisognosa.

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Proprio la politica del buono scuola dimostra che non serve cambiare la legge per giungere ad una piena parità tra scuola statale e non statale. Se è vero che la legge della parità scolastica è stata approvata dal centro sinistra nel 2000, è altrettanto vero che è attuata solo a metà: manca la parità economica, per la quale serve uno stanziamento, non una modifica della legge. Vista dall’Europa, che ha ottenuto da tempo la libertà educativa, è incomprensibile la discussione tutta italiana sul finanziamento delle scuole paritarie, che oggi svolgono una funzione sussidiaria non riconosciuta. Infatti lo studente iscritto alla scuola statale costa allo Stato mediamente 5.700 euro; per ogni studente che si iscrive alla scuola paritaria lo Stato spende solo 500 euro, risparmiandone così mediamente 5.200 euro.

 

Guardiamo anche le politiche regionali per gli studenti disabili e stranieri. Vorrei anche in questo caso rispondere con i dati: in Lombardia si sono iscritti al secondo ciclo per l’anno scolastico 2010/2011 quasi 2.300 studenti disabili. Di questi oltre il 53% si sono iscritti in un’istituzione formativa regionale e solo il 44% ad una scuola statale. Nelle istituzioni formative gli studenti disabili iscritti sono il 10% del totale; nelle scuole statali rappresentano l’1,42%. Direi che la Regione, anche in questo ambito, sta svolgendo un ruolo di primo piano.

Si consideri inoltre che nelle scuole paritarie di secondo ciclo la presenza di studenti disabili è resa difficoltosa dall’assenza di un sostegno statale; a questa situazione risponde ancora una volta Regione Lombardia con l’inserimento strutturale nella Dote scuola di una componente di 3mila euro specifica per la disabilità.

Analogo discorso per gli studenti stranieri: nei percorsi di Istruzione e formazione professionale regionale gli studenti stranieri rappresentano circa il 22%, contro il 10% della scuola statale.

 

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Per quanto riguarda l’attuazione del Titolo V della Costituzione si dovrebbero cercare le responsabilità del ritardo nel trasferimento delle competenze alle regioni anche nel centro sinistra: il Governo Prodi non ha certo accelerato il processo di trasferimento alle Regioni delle competenze previste dalla Costituzione. Addirittura nel 2006 le Regioni hanno approvato un documento di proposta al Governo (“Attuazione del Titolo V della Costituzione per il settore istruzione – Master Plan delle azioni) che l’allora ministro Fioroni non ha minimente considerato.

 

Nonostante questi ritardi comunque, a differenza di quanto affermato da Campione, la programmazione regionale già si fa in modo integrato tra istruzione e formazione professionale, ed è in atto un importante accordo tra Regione Lombardia e Ministero dell’istruzione che ha portato a unificazione l’istruzione professionale statale con la formazione professionale regionale.

 

Infine per quanto riguarda le risorse: non si tratta di spendere di più, ma di spendere meglio. Affrontiamo la questione basandoci su dati OCSE (“Education at glance 2009”) e nel confronto internazionale: la spesa annua per studente per istruzione e servizi connessi (mensa, trasporti, edilizia scolastica) in dollari a parità potere di acquisto in Italia è di 8.204, in Germania di 6.985 e la media Ue19 è di 7.364.

A fronte però di un costo studente maggiore gli insegnanti dopo 15 anni di servizio in Italia guadagnano – sempre in dollari a parità di potere di acquisto – 33.778, mentre in Germania 62.372 e in Ue mediamente 45.513. Come è possibile ciò?

Forse perché in Italia c’è un insegnante ogni 10,7 studenti, mentre in Germania uno ogni 15 studenti, oppure perché in Italia gli insegnanti insegnano per 601 ore l’anno senza un ulteriore lavoro complessivo a scuola, mentre in Germania insegnano per 714 annue ma lavorano ben 1750 ore complessive a scuola.

Converrebbe a tutti che si abbassi il costo dell’istruzione e che i risparmi ritornino, almeno in parte, per il miglioramento dell’offerta formativa, per aumentare i compensi dei docenti, premiare il merito, investire su edifici scolastici e laboratori.

 

 

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