Il Consiglio nazionale della pubblica istruzione – vetusto organismo fondato nella seconda metà dell’Ottocento, più volte rifondato, da ultimo con la Legge 477 del 1973, sempre in attesa di essere sciolto, composto al 95 per cento da rappresentanti eletti (vulgo sindacalisti) del personale docente e no, di ogni ordine e grado – ha espresso in data 28 aprile 2010 il parere n. 3249 sulle Indicazioni nazionali riguardanti gli obbiettivi specifici di apprendimento nei Licei, definiti in base a quanto è previsto all’art. 2, commi 1 e 3 del Regolamento sui percorsi liceali.



Sul contenuto di tali Indicazioni si è svolto sul nostro giornale e su Il Sole 24 Ore un lungo e acceso dibattito, che è stato raccolto nel dossier del sussidiario Riforma Gelmini: Le Indicazioni. Il peso di questo parere non è tanto politico-istituzionale, giacché il governo non ne è vincolato, quanto piuttosto culturale e professionale, data la natura rappresentativa dell’organismo. Alcune osservazioni fatte dal CNPI coincidono con quelle espresse dai critici dell’attuale ancorché provvisoria e modificabile redazione delle Indicazioni, il cui iter è ancora in atto.



La prima non riguarda tanto il contenuto delle Indicazioni in sé quanto la tenuta dell’“operazione Indicazioni”: il CNPI ritiene che “l’analisi delle Indicazioni non possa esaurirsi lungo il solo asse conoscenze-abilità-competenze, ma debba interessare la pluralità delle connessioni e delle implicazioni che esse hanno con l’intero processo di riforma degli ordinamenti e con le modalità organizzative e gestionali”. Traduzione: le Indicazioni rischiano di ridursi a esercitazione letteraria o a “grida” spagnolesca, se non inducono dei cambiamenti a monte e a valle degli ordinamenti, dell’organizzazione, della gestione della didattica, visto che è “il diritto degli studenti all’apprendimento” l’obbiettivo finale di ogni azione di riordino.



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Alle spalle di questa presa di posizione e dello scontro culturale, che il nostro giornale ha doverosamente registrato, sta appunto una concezione diversa dell’equilibrio tra apprendimento e insegnamento. Apprendimento e insegnamento sono i due fuochi di un’ellissi; ma quale quello maggiore e quale quello minore è esattamente l’oggetto della discussione. Storicamente, il fuoco maggiore è sempre stato l’insegnamento. In tutto il mondo, in Europa e in Italia il tentativo in corso è quello di collocarvi l’apprendimento. Dibattito tutt’altro che astratto, visto che la frattura tra l’universo degli apprendimenti e quello degli insegnamenti cammina sulle gambe di soggetti, gli studenti e gli insegnanti, che si stanno ora reciprocamente allontanando.

 

Il CNPI ritiene che l’impianto culturale e pedagogico delle Indicazioni nazionali rappresenti un arretramento rispetto al Regolamento dei Licei (art. 2 comma 2). Mentre quest’ultimo riconosce la rilevanza strategica dell’apprendimento per competenze, non così farebbero le Indicazioni o, almeno, la nota introduttiva alle medesime. Si porta quale esempio di incoerenza l’approccio alle competenze relative alla “partecipazione responsabile e consapevole alla vita sociale” da raggiungere come previsto dal D. M. 22 agosto 2007 (relativo al Regolamento del nuovo obbligo di istruzione). Le competenze si risolverebbe puramente nella conoscenza “dei fondamenti del nostro ordinamento costituzionale”…

 

Così pure, viene contestata la sovrapposizione dei macro-obiettivi di apprendimento alle competenze sulla “capacità di utilizzare conoscenze e abilità in una pluralità di contesti generativi di problemi, cui occorre dare precise e risolutive risposte”. Anche il CNPI ribadisce “l’importanza che riveste un’esaustiva e sistematica trasmissione dei contenuti disciplinari”, ma ne sottolinea il necessario esito educativo e pratico-esistenziale, le competenze, appunto. D’altronde queste non fungono solo da anello terminale del processo di apprendimento, ma “agiscono come fattori generativi di altre conoscenze, abilità e competenze”.

 

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Quanto agli obbiettivi di apprendimento, il CNPI segnala “una certa discrasia tra gli enunciati in Introduzione e la selezione dei contenuti disciplinari” nonché “un’evocazione meramente nominale degli obbiettivi di apprendimento”, che vengono identificati “con gli argomenti da affrontare nel corso degli studi piuttosto che con i traguardi da raggiungere”. Il caso più clamoroso è quello di filosofia: gli obbiettivi di apprendimento “sono identificati con gli autori che tradizionalmente sono oggetto di studio”, elencati nell’ordine cronologico dai Presocratici in su, mentre non sarebbero indicati i traguardi da raggiungere…

 

Altre osservazioni più particolari e più minute e le “conclusioni” completano il parere. Tuttavia, oltre le discussioni sulla consistenza epistemologica di conoscenza, abilità, competenza – così che spesso dentro il vocabolo conoscenza vengono accumulati pesi che altri distribuiscono anche su abilità e competenza -; oltre le diverse filosofie pedagogiche, resta che le Indicazioni nazionali rischiano, quand’anche ottimamente formulate, di restare a loro volta formulazioni teoriche astratte, che non riescono a trasformarsi in competenze educative e didattiche per le autonomie scolastiche e per gli insegnanti. A meno che non si liberino le autonomie scolastiche dai lacci e laccioli mentali, culturali e burocratici, che tengono prigionieri, spesso consenzienti, i dirigenti e i docenti. Poteri effettivi alle autonomie, dotazione di organici adeguati, formazione della professionalità docente, sia iniziale sia in itinere, revisione delle classi di concorso sono le condizioni del passaggio rivoluzionario ad una nuova organizzazione dell’offerta formativa.

 

In assenza di queste tessere del mosaico, le Indicazioni nazionali, le Linee per l’istruzione tecnica – che risultano essere più in asse con le Raccomandazioni dell’Unione europea e con l’European Qualification Framework – e quelle che verranno sull’Istruzione professionale finiranno per essere abbandonate, dopo fervidi dibattiti, alla critica roditrice dei topi che vagano per gli sterminati archivi ministeriali, dove sono sepolti documenti, buone intenzioni e riforme mai incominciate e mai completate di una storia ormai lunga 150 anni.