Riprendo il tema dell’orientamento scolastico proposto da Attilio Oliva sul Sole 24 Ore del 12 maggio per proporre qualche riflessione integrativa su una questione centrale sia per il successo negli studi dei soggetti in formazione, sia – in prospettiva – per lo sviluppo produttivo del Paese.

Decisiva in entrambe le direzioni può infatti risultare la scelta fra le diverse tipologie di scuola secondaria superiore fatta a conclusione del primo ciclo degli studi, uguale per tutti. A partire da quella scelta, che rappresenta comunque l’avvio del proprio progetto di vita da parte di ciascun adolescente, comincia a manifestarsi il valore aggiunto di una decisione assunta in proprio, sia pure anche sulla base di informazioni, seduzioni e sollecitazioni esterne. E sottolineo “anche”, perché la sua stella polare ogni individuo se la deve un po’ per volta trovare da sé, verificando a sue spese se le ipotesi di partenza erano quelle giuste oppure no.



Su quali elementi orientativi il nostro, o la nostra, quattordicenne può contare? Dato che vive nel mondo d’oggi, in cui la comunicazione verbale e visiva abbonda, ha a disposizione modelli di ogni tipo, per lo più di successo, seducenti al massimo in molti casi, ma quasi sempre palesemente difficili da uguagliare, o – purtroppo – non uguagliabili solo in virtù dello studio, dato che della scelta di una scuola superiore da frequentare stiamo parlando.



Oggettivamente le informazioni non mancano, soprattutto sulla domanda e offerta di occupazione al termine degli studi (secondari e/o universitari), ma nella maggior parte dei casi riguardano un destino di “lavoro” che si realizzerà solo dopo parecchi anni, e dopo aver superato, non senza fatica e forza di volontà, le molteplici prove che quasi quotidianamente un corso di studi propone.

Troppo poco per chi al momento può contare più che altro sull’esperienza scolastica pregressa e sulle sollecitazioni familiari che l’hanno accompagnata, non sempre gradevoli, gratificanti e illuminanti, quando occorre giustificare l’idea di andare ancora a scuola per almeno altri cinque anni (poco meno del tempo già trascorso nelle aule scolastiche) impegnandosi ad apprendere giorno dopo giorno qualcosa (che magari non interessa neppure), la cui utilità pratica sarà tangibile, se tutto andrà bene, in un futuro ancora molto imprecisato.



Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo

Non è perciò un caso e neppure un’idea troppo bislacca che sembri ai più ragionevole e sufficientemente probante fare riferimento all’esperienza scolastica appena conclusa, semplificandone la morale con la sentenza: “Se a scuola te la sei cavata bene, vai al liceo, se soltanto così così all’istruzione tecnica, se per il rotto della cuffia alle professionali, se non hai concluso nulla e sei già oltre il tempo massimo, lascia perdere”.

 

Ciò provoca immediatamente una preselezione sbagliata, non solo perché sottovaluta l’impegno richiesto per i percorsi secondari superiori che richiedono tutta una seria motivazione allo studio, sia pure su contenuti e metodologie diverse, ma ancor più perché determina una graduatoria impropria tra valenze culturali dei licei e valenze culturali degli istituti tecnici, che non corrisponde alla realtà del mondo moderno, in cui saperi totalmente estranei alla formazione liceale, che li sospinge al livello universitario, sono invece già presenti in misura significativa nei corsi di studio dell’istruzione tecnica, aiutando i discenti a maturare una comprensione della realtà contemporanea per molti versi più articolata e complessa.

 

Penso in proposito alla consistente presenza delle scienze e delle loro potenziali integrazioni nella soluzione di problemi che si vengono realmente ponendo in vista di applicazioni, tecniche e tecnologiche, che stanno profondamente modificando non solo il nostro modo di produrre beni, servizi e ricchezza, ma anche il nostro modo di vivere, pensare e comunicare. Penso allo studio dell’economia, della gestione delle aziende, del diritto anche nelle sue più concrete ricadute.

 

Mi sembra difficile sostenere che non si tratta di cultura, dato che ci toccano continuamente da vicino, obbligandoci a riflettere su noi stessi, sul nostro prossimo, sul nostro rapporto con la natura, sul cammino della storia, sulla produzione letteraria. Ingredienti questi ultimi che peraltro non mancano nei piani di studio degli istituti tecnici, con tutte le loro potenzialità formative, anche se comportano una sensibilità e un approccio di tipo diverso, e modalità didattiche e di studio consapevoli del contesto in cui si collocano, perché nella formazione sempre e tutto si tiene.

 

E se poi c’è anche il vantaggio di acquisire conoscenze e competenze immediatamente spendibili già al termine del percorso secondario superiore, e non perché l’ha deciso il legislatore, ma perché il sistema produttivo è fatto così, tanto meglio, vuol solo dire che si uscirà prima dall’adolescenza e si diventerà prima autonomi e padroni di sé.

 

Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo

La domanda giusta per aiutare a scegliere la scuola secondaria superiore è dunque: “Di che cosa ti vuoi occupare, e come, nei prossimi cinque anni?”. Perché è su questo che verrà fuori la differenza orientante tra la volontà o quanto meno la disponibilità ad applicarsi, con uguale serietà, interesse e magari anche con piacere, e quindi in modo vincente, prevalentemente su tematiche, problematiche e pratiche operative che sono proprie dei licei ovvero degli istituti tecnici: non superiori gli uni agli altri, ma semplicemente diversi.

 

Anche a quattordici anni uno si può rendere conto della prospettiva scolastica che meglio corrisponde alle proprie propensioni e attese, e anche ai più genuini interessi, compresi quelli a cui ciascuno si dedica con passione nel tempo libero. Il lavoro dell’orientatore dovrebbe vertere soprattutto su questi aspetti della personalità, suggerendo e saggiando il raccordo con gli studi più congeniali.

 

Rispetto a questa esigenza preliminare di conoscenza e comprensione di ciò che ciascun corso di studi comporta sia le Indicazioni nazionali per i licei, sia le linee guida per gli istituti tecnici vanno nella direzione giusta, tanto da agevolare decisioni consapevoli sul che fare nei prossimi cinque anni, e non dove parcheggiarsi e soffrire.

 

Ma proprio la prospettiva del fare impone che ogni aula diventi soprattutto un laboratorio, in tutti i tipi di scuola e per tutte le discipline. E a quel punto l’unica gerarchia ammissibile sarà quella tra chi sa e sa fare e chi magari sa, ma non sa fare.