In queste due settimane tutti i bambini che frequentano il secondo ed il quinto anno della scuola elementare ed il primo anno della scuola media hanno fatto le prove INVALSI (Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema Scolastico Italiano, ndr) di italiano e matematica. Un’ondata di lavoro che ha impegnato i nostri figli a cercare le soluzioni a problemi di logica, geometria, statistica, algebra, grammatica, a tentar di trovare la sfumatura giusta di senso da attribuire ad un termine all’interno di un testo narrativo o espositivo.
Da anni mi occupo di valutazione e sono cosciente che per i non addetti ai lavori è molto difficile capire che cosa c’è dietro le quinte. Ogni fascicolo nasce da un lavoro di 18 mesi che coinvolge centinaia di persone: insegnanti, disciplinaristi, statistici, psicometrici, informatici e, per arrivare su ogni banco, richiede la collaborazione di migliaia di docenti e di dirigenti scolastici.
Anche scrivere il testo per un compito in classe è un’operazione delicata: occorre decidere bene che cosa si vuole verificare ed essere chiari nella restituzione dei voti per indicare agli studenti i loro punti di forza e di debolezza rispetto ad un quadro di riferimento, spesso implicito, in base al quale è stata costruita la prova. Fare questa operazione su 570.000 studenti significa moltiplicare all’ennesima potenza questa difficoltà. Anche il più piccolo errore può diventare un baratro. Da più di 20 anni la ricerca a livello internazionale ha messo a punto un percorso molto preciso per costruire delle prove che reggano su numeri così grandi, prove che siano facilmente correggibili e mettano al lavoro gli studenti su di una scala di difficoltà e non solo su di un livello.
Anche le prove INVALSI, che sono costruite con le stesse procedure, danno risultati rispetto ad un preciso quadro di riferimento e non accertano appena il raggiungimento di una soglia minima in cui viene fissata la sufficienza a priori, ma danno la possibilità di valutare secondo una scala i livelli di apprendimento degli studenti, attraverso quesiti che hanno un indice di difficoltà diversificato.
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A che cosa servono queste rilevazioni? Perché inserirle nel lavoro quotidiano che gli insegnanti fanno nelle classi? Lo scopo di un sistema di rilevazione esterno degli apprendimenti è, innanzitutto, quello di offrire un punto di paragone rispetto a cui ogni scuola, ogni classe, ogni insegnante può riflettere sul proprio lavoro. Forse è il caso di evidenziare che i quadri di riferimento in base ai quali sono state costruite le prove INVALSI tengono conto dei programmi attualmente vigenti in Italia, di quello che si fa quotidianamente a scuola ed hanno sullo sfondo le grandi indagini internazionali; non solo quella più nota sulle competenze dei quindicenni (PISA), ma anche quelle che indagano sulla capacità di lettura dei bambini di 9 anni (PIRLS) e quelle che prendono in considerazione il livello di apprendimento di matematica e scienze negli alunni di 9 e 13 anni (TIMSS). Sono prove messe a punto da docenti che insegnano a scuola. Prove che prima di entrare nel fascicolo finale sono state provate sul campo lo scorso anno su di un campione rappresentativo di studenti.
Domenica scorsa mi è capitato di raccontare questa storia ad un gruppo di genitori che sedevano vicino a me, durante il pranzo per la prima comunione di mia nipote, nulla di più lontano dall’INVALSI. Tutto è partito da una mamma che comincia a raccontare del figlio di quinta elementare. Riporto le sue parole esatte: «Dopo la prima prova INVALSI, Edoardo mi ha detto che era andato tutto bene e poi ha precisato: -Una parte, quella della lettura del testo, è stata semplice; le domande invece erano ambigue. -Ambigue?- chiedo io. -Si, ambigue!-. Sollecitato a commentare il perché la prova fosse apparsa ambigua, Edoardo ha riportato il seguente esempio: –Cautamente, significa con prudenza oppure con attenzione?-. E così altre domande. -Tu capisci, mamma, che la risposta giusta è difficile perché i termini sono molto simili tra loro. Ho dovuto rileggere di nuovo il testo per capire».
Da qui ha preso l’avvio la discussione, a cui ha preso parte anche un chirurgo che sottolineava l’effetto positivo che il paragone con i dati relativi agli interventi svolti in altre sale operatorie può avere per il miglioramento degli esiti degli interventi (effetto Hawthorne). È stata la mamma che aveva introdotto il discorso a restituirmi il senso più rilevante di questa operazione. Continuo con le sue parole: «Da mamma e da persona adulta che rimane affascinata da chi fa buon uso della propria lingua, e la studia, e la cura, e l’apprezza, sono stata felice di vedere che fin dai primi anni di scuola si spronino i bambini a conoscere bene le parole ed il loro significato. Si insegni loro a distinguere una parola dall’altra anche se apparentemente e superficialmente esse appaiano simili. Si apprezzi la conoscenza di un vocabolario più ampio e si faccia lo sforzo mentale di cercare la parola giusta per l’espressione giusta. Si spinga i bambini a non essere superficiali, approssimativi. Tutto ciò in un mondo che invece per stile di vita e di gergo, tende sempre più ad appiattire tutto: idee, gusto, senso critico. La conoscenza e il ragionamento sono fondamentali per poter apprezzare la realtà. È molto importante che i bambini,già in tenera età,imparino il metodo con cui farlo».
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Ovviamente al tavolo c’era un’insegnante; difficilmente in questi anni mi sono seduta ad un tavolo senza trovarne uno vicino. Interviene e riporta quello che è accaduto nella sua scuola media statale di un quartiere molto degradato: «Alcuni miei colleghi hanno sbuffato per il protocollo INVALSI giudicato troppo puntiglioso nelle indicazioni, esagerato nelle precauzioni. Ma alla fine tutti hanno collaborato. I bambini di prima media che avevo il compito di sorvegliare sono stati serissimi nel fare la prova. Avevano l’idea di fare una cosa importante che non arrivava dalla scuola , ma dal Ministero. Non hanno copiato. Hanno lavorato e sono stati in silenzio per due ore».
Ma il tocco finale al dialogo lo ha dato mio figlio, che, impegnato a giocare a calcio, non aveva neanche sentito una parola dei nostri discorsi. Tornando a casa in macchina mi dice: “giovedì abbiamo fatto le prove INVALSI di matematica” – non ne avevamo ancora parlato perché ero stata due giorni fuori casa per lavoro – come erano?, gli chiedo. E lui, abituato a fare i compiti da solo, mi risponde: “belle, bastava ragionare. Volevano vedere se avevi capito veramente quello che abbiamo studiato quest’anno”. Forse stiamo incidendo su un punto importante del fare scuola che attiene al livello della responsabilità, dell’importanza del rendere conto, del mettersi alla prova tutti: studenti ed insegnanti, con la collaborazione dei genitori. Per chi volesse vedere direttamente le prove, da oggi saranno pubblicate con le schede di correzione sul sito dell’INVALSI.