Ogni cosa è un colore. Ogni emozione è un colore. Il silenzio è bianco. È questo l’incipit di Bianca come il latte, rossa come il sangue in libreria per Mondadori. Un romanzo che non sta passando inosservato.
L’autore, Alessandro D’Avenia, è un giovane professore di liceo e questo ha certo il suo peso. Sia perché il protagonista da lui creato ha solo la metà dei suoi anni, sia perché la storia vede la scuola come ambiente naturale, luogo evidentemente ben conosciuto dall’interno.
Leo è in terza liceo scientifico, coltiva le amicizie fra cui quella specialissima di Silvia, gioca a calcio nei Pirati, ha un anno di scuola davanti a sé e un amore non dichiarato per Beatrice, di una classe più avanti e dai capelli rossi.
Il sedicenne Leo si sente un leone, non lo spaventa niente tranne il bianco. Il bianco che è nulla, che è privazione, che è assenza, che è solitudine. E per far fuori il bianco, che “non è neanche un colore”, ci vuole il rosso che è amore, passione, sangue. Beatrice, appunto.
Non basta neanche l’azzurro, l’azzurro degli occhi di Silvia da sempre presente nella storia, compagna fedele di Leo. Ma compagna fedele e basta, almeno per come la vede lui. Bianca è la vita senza un perché. Rosso è il sogno di nome Beatrice, ignara dell’amore che ha acceso. Azzurra è la realtà, quella Silvia che c’è, esiste.
Ma il sogno capace di dare senso a una vita e raddrizzare una giornata storta all’improvviso si corrompe e di colpo anche i colori si trasformano. È una malattia che fa diventare bianco il sangue. Bianco-morte: malattia, leucemia. Rosso-sangue: trasfusione, anemia.
Accade però che proprio a inizio anno, all’Argentieri, alla prof di lettere e filosofia muore il marito e lei decide di non tornare più in classe. In sua vece arriva un sostituto, giovane e insolito: “Ha i capelli neri. Gli occhi neri. La giacca nera. Insomma assomiglia alla Morte Nera di Guerre Stellari”.
Leo lo soprannomina subito il Sognatore, per come parla della vita e della filosofia; diventerà presto per lui un vero adulto di riferimento capace di cogliere le sue domande, i suoi turbamenti, le sue angosce e sostenerlo nella prova più difficile. Guardare in faccia la realtà: il rosso che sbiadisce e l’azzurro che si impone.
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Un libro bianco e rosso, questo. Di bianco ravvisiamo il giovanilismo della scrittura, l’eccesso di lirismo in alcune parti, l’uso strumentale e occhieggiante dei nomi (Beatrice? Silvia?), la prevedibilità della storia, ma soprattutto una certa visione della scuola e dell’insegnante.
Il Sognatore, chiaro alterego dell’autore, per risultare affascinante deve parlare per metafore, per risultare vicino deve essere giovane, per dare speranza deve filosofeggiare. C’è però tanto rosso a rendere questo romanzo interessante. Il rosso prepotente della domanda di senso riconosciuta nei ragazzi, il rosso carnale della serietà delle loro questioni individuali, il rosso intenso di un’ipotesi-Dio come risposta, il rosso inusuale di figure adulte che si pongono in una posizione di ascolto e accoglienza.
Il Sognatore e i genitori sono positive figure di riferimento, spesso capaci di vedere più avanti degli amici coetanei, risultando talvolta persino più interessanti di loro. Basterebbe quest’eccezione nel panorama attuale a rendere il romanzo interessante.
È una sfida che il giovane insegnante-autore D’Avenia sembra lanciare ai suoi colleghi e ai genitori dei suoi alunni. Prendeteli sul serio, i ragazzi. Cogliete l’impeto buono che si nasconde dietro i loro comportamenti, a volte incomprensibili.
Noi questa sfida la vogliamo cogliere, ma dentro l’azzurro. Ciò che può davvero rendere affascinante un adulto non è la sua vicinanza cronologica o gergale col ragazzo, e neanche il fatto che sia capace di filosofeggiare tenendo sempre un tono “alto” nei suoi discorsi. È piuttosto il suo prendere sul serio la realtà, quel pezzo di azzurro che rappresentano gli occhi di Silvia e di tutte le Silvie che ci passano accanto senza che a volte nemmeno le notiamo. Perché anche Dio è azzurro.