Il decreto recante il Regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti è ormai prossimo alla sua emanazione: licenziato dal Consiglio di Stato con parere definitivo favorevole è ora all’esame delle VII Commissioni di Camera e Senato per l’ultimo passaggio prima della firma del ministro. Conseguente a uno dei primi atti di governo del neoministro Gelmini è stato sorpassato da molti atti successivi tanto da lasciare spazio al sospetto che fosse stato dimenticato in qualche cassetto.



In realtà di qualcosa, in questi mesi, ci si è dimenticati: forse di un’esperienza, di una storia, di un po’ di studenti che attendono da più di un anno e mezzo una strada per poter diventare insegnanti nella scuola secondaria. Dimenticati anche un bel po’ di docenti esperti nella formazione e nel tirocinio (supervisori di tirocinio e tutor) che dopo essere stati utilizzati intensamente sono stati liquidati senza ulteriori oneri per l’amministrazione e ora corrono il rischio di essere accantonati da una norma che non ne riconosce esplicitamente il valore.



Il punto di sintesi raggiunto dal testo regolamentare è frutto di un lungo percorso di elaborazione e bisogna dare atto al consigliere del ministro, Max Bruschi, d’aver lavorato molto e aver mantenuto, malgrado le numerose difficoltà oggettive e le pregiudiziali rilevabili in alcune posizioni espresse nel corso dei lavori, un profilo di apertura al confronto e di disponibilità all’ascolto.

Gli uffici ministeriali sono infatti intervenuti accogliendo alcune istanze che hanno reso più equilibrata una norma nata in un clima sostanzialmente ostile a un’esperienza decennale che andava corretta ma anche adeguatamente valorizzata. Più equilibrata, ma per definizione transitoria (“nelle more del complessivo processo di riforma”, art. 1 c. 1): la transitorietà infatti caratterizzò le SSIS e rischia di segnare in modo decisivo anche questa nuova esperienza, come dimostra il corposo corredo dell’art. 15, che riporta un lungo elenco di disposizioni transitorie.



Sorprende non poco il fatto che nonostante l’importanza del tema e l’incidenza che esso può avere nel medio e lungo periodo sulla qualità del servizio scolastico, esso goda di scarsissima risonanza: poche le informazioni che circolano, bassa la sensibilità dei media e degli addetti ai lavori, marginale l’interesse del principale soggetto gestore dei processi, l’università, scoraggiante la reattività dei principali interessati alla riforma, dirigenti, insegnanti e studenti.

Altro effetto si sarebbe certamente avuto se per due anni avessero chiuso le iscrizioni alle facoltà di medicina, di giurisprudenza, di ingegneria… non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se a essere sospese fossero state le iscrizioni a quei corsi. Quasi nulla è accaduto invece per la sospensione del percorso per i docenti della scuola secondaria.

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Forse il fatto di essere depositari di una responsabilità educativa, rende gli insegnanti impermeabili alle provocazioni, equilibrati per vocazione professionale, misurati nelle reazioni. O forse è il segno di un’identità sfibrata che necessità di ritrovare se stessa e per la quale è urgente tracciare un orizzonte di crescita professionale.

 

Gli insegnanti di qualità sono infatti una delle principali risorse per lo sviluppo del Paese, promuoverne la formazione qualificata con adeguati investimenti è un dovere di uno stato responsabile. Altrove, in Europa, lo si è compreso e le scelte di politica scolastica che riguardano i formatori, e i formatori dei formatori, ne hanno tratto le conseguenze, e i sistemi educativi e la cittadinanza cominciano a goderne i frutti.

 

Durante le audizioni informali sul Regolamento tenutesi nei giorni scorsi presso la VII Commissione della Camera e prima, il 16 aprile a Roma durante una Tavola rotonda presso l’Università RomaTre, sono emerse contraddizioni e ostacoli con i quali il dispositivo normativo dovrà fare i conti. Da parte di tutti è stato denunciato il grave ritardo della norma e il concreto rischio che il 1 settembre non si riescano ad attivare i percorsi.

 

Per accompagnare il processo di attuazione nei primi mesi dall’entrata in vigore del decreto sono necessarie, si è detto, misure straordinarie, un supporto forte e qualificato a università e scuole, con il coinvolgimento di professionalità esperte nella materia.

 

Ampia convergenza anche sulla valutazione che il tirocinio di un solo anno non sia sufficiente a formare adeguatamente un insegnante: il periodo di tirocinio previsto per gli insegnanti della secondaria (1 anno) deve avvicinarsi di più a quello previsto per quelli del primo ciclo (4 anni): l’attuale differenza è difficilmente comprensibile. Le funzioni del tirocinio sono formative in senso molto ampio, orientano alla scelta e fanno emergere un’attitudine all’insegnamento che è bene possa esprimersi ben prima dell’ultimo anno di corso.

 

Si chiede inoltre una vera parità fra scuola e università: nella partecipazione al percorso di tirocinio e all’intero percorso di formazione professionalizzante; nei processi decisionali, di governo e valutativi del percorso. Bisogna salvaguardare in questo senso le più efficaci esperienze di collaborazione fra l’università e le scuole, che costituiscono il patrimonio più prezioso accumulato negli ultimi 10 anni.

 

D’accordo, nella discussione, anche sul fatto che chi conosce nodi critici e punti di forza della precedente esperienza possa avere un ruolo decisivo nel miglioramento dei processi, garantendo anche quella convergenza di modelli, sul piano nazionale, la cui mancanza è stata una delle contestazioni più forti fatta all’esperienza SSIS. Un principio elementare ma non scontato, più volte richiamato in diverse sedi e la cui importanza è stata riconosciuta pubblicamente da numerosi soggetti istituzionali, compreso il Ministero.

 

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D’altra parte già la Legge 143 del 4 giugno 2004 (Art. 3-quater), aveva indicato tra i fini degli interventi previsti a favore della formazione degli insegnanti quello di “valorizzare le competenze acquisite, […]” dai soggetti già coinvolti nei processi, forse proprio per evitare dispersioni e inefficienze che, in assenza, rischiano di verificarsi anche nell’attuazione del nuovo modello di formazione.

 

L’importanza dell’esperienza va, tuttavia, combinata con una opportuna innovazione che sappia coinvolgere nei processi le migliori risorse della scuola, selezionate con criteri non discrezionali e adeguatamente formate alle competenze necessarie per svolgere le funzioni richieste.

 

Si è anche posto all’attenzione della Commissione un altro grave rischio legato a questa fase di transizione: in molte università insieme alla chiusura amministrativa delle SSIS, si sta assistendo alla smobilitazione fisica degli spazi ad esse destinati e all’accantonamento degli archivi che non si sa bene che fine faranno. Un know-how che si disperde con gravi conseguenze per l’immediato futuro. Come sarà possibile evitare gli errori commessi se non c’è memoria di ciò che è stato? Ripartire da zero costerà molto caro.

 

Difficile, infine, prevedere tutte le difficoltà operative che si presenteranno sulla strada dell’attuazione del regolamento: fra l’ideazione e l’attuazione è noto infatti che esiste un solco difficile da governare. Tali difficoltà potranno essere affrontate solo se in corso d’opera si adotteranno gli opportuni provvedimenti. Ci si augura che il ministro e lo staff che segue questo processo sappiano accogliere con intelligenza le proposte che saranno formulate per rendere in tempi rapidi efficace e formativo un percorso che presenta, prima ancora di essere realizzato, numerose criticità.

 

Si può fare ancora molto per qualificare e innalzare il livello della competenza e della professionalità del corpo docente in Italia. Un impegno al quale è necessario si contribuisca tutti: sostenendo e promuovendo le occasioni di confronto e di proposta, non abbassando la guardia su un problema centrale per la modernità e lo sviluppo, oggi gravemente marginalizzato.

 

Come formatori di insegnanti chiediamo che da parte degli organi di governo si tenga aperto il dibattito, si proceda per passaggi progressivi monitorando con attenzione i processi, chiediamo che del tema si facciano carico gli organi informativi specializzati, che si discuta fra i soggetti chiamati a svolgere ruoli determinanti nel modello proposto, e che si apra il dibattito anche all’opinione pubblica. Siamo infatti convinti che solo qualificando e riqualificando gli insegnanti e chi li deve formare, sarà possibile rendere la scuola italiana più efficace, incisiva e strategicamente funzionale allo sviluppo del Paese.

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