Esami di Stato 2010, prima prova, tipologia B. La ricerca della felicità – Svolgimento – Quando un uomo è felice, lo è sempre e in ogni luogo. Quando non lo è, non lo è mai e da nessuna parte. E quando lo è non si preoccupa di misurarne la quantità, come si fa quando si ha la febbre. Lo è totalmente. Chi si preoccupa di misurarne la quantità (come spiegano nel loro articolo Maggiori e Pellizzari) o la distanza da sè (come fa Bauman) parte dal presupposto che la felicità sia il risultato dello sforzo della persona e delle condizioni esterne nelle quali è inserita. Considera la felicità il prodotto della capacità dell’uomo di prodursela mentre, al contrario, l’esperienza di ogni persona dimostra che la felicità non si produce e questo rende perfino ridicoli i tentativi da parte di molti Stati di misurare la soddisfazione delle persone. Il ruolo dello Stato in relazione alla felicità dei cittadini si deve limitare a rendere possibili quelle condizioni di libertà che permettono ad ogni persona di ricercare la propria strada verso la propria soddisfazione assicurando una cornice di legalità, sicurezza e giustizia che impediscano abusi da parte dei più spregiudicati arraffatori di spazi economici (come insegna la dottrina economica della scuola di Friburgo che ha generato quella che viene chiamata “economia sociale di mercato”).



La misurazione della felicità da parte di uno Stato è il primo passo verso uno Stato che, per incidere nel grado di soddisfazione dei cittadini, entra in qualità di giocatore nella vita di ogni persona. Quando questo accade la felicità si trasforma da dono, da un evento straordinario, inaspettato e stupefacente, a un obbligo, come quello di pagare le tasse. Gli Stati dovrebbero stare alla larga dalla mia felicità e non dovrebbero preoccuparsi di generarla, ma solo di renderla possibile aumentando gli spazi di libertà anche economica che consentono la realizzazione dei miei desideri e il soddisfacimento dei miei bisogni nel rispetto assoluto dei diritti di tutti gli altri.



Il primo dei bisogni che un uomo sente di avere è quello di mettersi alla prova, di misurarsi con la realtà e, più si cresce, più la realtà con la quale si ha a che fare è la realtà economica che è uno spazio che non può e non deve essere occupato dallo Stato, ma deve essere lasciato libero perché i cittadini esercitino la loro creatività. In questo senso la Costituzione italiana è certamente più in sintonia con la visione di uno Stato che non interviene nella produzione della felicità: parla, infatti, di uno Stato che “rimuove gli ostacoli” dei cittadini verso la realizzazione dei propri desideri e il soddisfacimento dei propri bisogni.



 

Quella americana è una Costituzione “interventista”, che, definendo la felicità un “diritto” addirittura sancito dalla Carta fondativa dello Stato, attribuisce ad esso il dovere di produrla. La storia è andata poi diversamente: lo Stato italiano si è trasformato negli anni come il più preoccupato di produrre felicità occupando spazi che non gli competono e quello americano come il più liberale del mondo.

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