E’ più facile che i poeti si siano soffermati sul dolore, la tristezza e la malinconia che sul piacere. Sembra dunque che abbia ragione Leopardi, quando afferma: “uscir di pena / è diletto tra noi”, assegnando al piacere la sola valenza negativa dell’assenza dell’affanno connesso con il vivere. Certamente la posizione leopardiana esprime una visione dolorosa della vita, che tuttavia include la ricerca della felicità, promessa all’uomo dagli dei e per lo più disattesa. In questa che appare al poeta più profondo dell’Ottocento italiano la condizione umana, è presente tuttavia la ricerca di un bene che possa alleviare il dolore di vivere.



D’Annunzio la descrive nell’ebbrezza erotica, a cui il protagonista del romanzo Il piacere, Andrea Sperelli, si abbandona, non senza un avvertimento di sapore lucreziano, che ben si adatta all’estetismo dell’autore: “Medio del fonte leporum / surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat”. Proprio all’interno dello stesso piacere sorge qualcosa di amaro che angustia in mezzo alla gioia: per il protagonista del romanzo è l’inquietudine di una prossima fine della sua relazione a turbare il godimento completo di un sogno lungamente accarezzato.



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Quanto all’elenco di piaceri indicato da Brecht nella sua breve lirica, esso indica certo alcune delle gioie della vita, ma esse sono piccole e circoscritte e non rispondono alla grande domanda di Leopardi. Forse si avvicina alla risposta l’interrogativo di Ungaretti, che sembra assegnare alla vita umana un lungo travaglio, al pari di quello inerente a ogni creatura. Ma la domanda del poeta-soldato è formulata in tempo di guerra, sul fronte e risente certo di un dolore portato all’estremo, in cui la parola umana ha solo il significato di ricordare una felicità perduta, capace di destare la nostalgia del bene.



 

L’arte figurativa giunge talvolta a rappresentare il piacere in modi compiuti: nella Nascita di Venere di Botticelli, l’artista compone la grazia e la malinconia proprie del Quattrocento in una raffigurazione piena di luce, che ricorda ancora Lucrezio nel celebre inno a Venere, posto all’inizio del suo poema. Più pacata, c’è anche in Botticelli la celebrazione della bellezza della natura e del ciclo della vita; non si può escludere che anche Foscolo abbia cantato la nascita di Venere a Zacinto sull’onda della suggestione di quest’opera. La musica e la danza, tematizzate nelle opere di Picasso e di Matisse, corrispondono a due attività, connesse tra loro, che esprimono gioia e tristezza attraverso la partecipazione degli elementi della natura e del corpo umano: l’armonia che ne nasce congiunge in qualche modo l’uomo al cosmo e forse in questo sta il suo potere di consolazione.

 

L’arte e l’attività razionale, ovvero la domanda del senso, liberano l’uomo dal dolore, non nel senso che glielo evitano, ma in quando lo muovono verso la gioia della conoscenza per cui è fatto. 

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