“Ai sensi della legge 30 marzo 2004 la Repubblica riconosce quale giorno del ricordo al fine di conservare e ricordare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe dall’esodo dalle lore terre degli istrani fiumani dal secondo dopoguerra.

Il candidato delinei la complessa vicenda del confine orientale del patto di Londra, del trattato di Osimo, soffermandosi in particolare sugli eventi tra il 1943 e il 1945. Il candidato delinei la complessa vicenda del confine orientale del patto di Londra, del trattato di Osimo, soffermandosi in particolare sugli eventi tra il 1943 e il 1945″.



Le foibe: sono cavità, con ingresso a strapiombo, che trafiggono con i loro vuoti abissali tutto l’altipiano carsico, che sta alle spalle di Trieste. Ma arrivano fino alla Slovenia, all’Istria, alla Dalmazia. Hanno profondità variabili, fin oltre i 250 metri. Sul fondo stanno, spesso, detriti e materiali lasciati dalla storia precedente. Per esempio, i cannoni austriaci della Prima Guerrra mondiale, che vide svolgersi sul Carso sanguinose battaglie tra italiani e truppe austro-ungariche.



In alcune foibe, nel corso di scavi successivi alla fine della Seconda guerra mondiale e al ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, sono stati scoperti i resti di migliaia di “infoibati”, a loro volta nascosti da altri detriti, a coprire il massacro.
Dopo l’8 settembre 1943 i partigiani di Tito gettarono nelle foibe dell’Istria e della Dalmazia centinaia di fascisti italiani, spesso colpevoli a loro volti di massacri nei confronti della popolazione slava.

Tra il 1° maggio e il 12 giugno del 1945 a Trieste e a Gorizia i titini hanno “infoibato” diverse migliaia di italiani fascisti, afascisti, comunisti, che tentavano di resistere alla politica jugoslava di annessione della Venezia Giulia. I numeri sono incerti, a seconda delle fonti: da un minimo di 4.000 al massimo di 12.000 assassinati. Non tutte le foibe sono state scavate. Non molte al di là del confine jugoslavo, oggi sloveno o croato.



Fatti lontani, affiorati solo in anni recenti alla memoria collettiva del Paese, a causa di una catena di rimozioni. La necessità da parte degli Alleati – vincitori della seconda guerra mondiale e impegnati nella guerra fredda contro l’URSS di Stalin – di “proteggere” l’autonomia del nazionalista jugoslavo Josif Broz Tito, collocatosi all’esterno della cortina di ferro, portò i governi democristiani italiani, già dal 1948, a stendere un velo di oblio sulle stragi titine – ma, del resto, anche su quelle dell’esercito tedesco – in Italia.

 

Il PCI togliattiano, nonostante forti dissensi all’interno della Federazione comunista di Trieste, contribuì fortemente al silenzio. Perciò nei libri di storia le foibe fanno una comparsa tardiva e per lo più solo quelle “antifasciste”. Il blocco ghiacciato della memoria si è dissolto insieme alla Jugoslavia solo nei primi anni Novanta, nel modo tragico che conosciamo e non senza uno strascico di contraddizioni e di questioni irrisolte.

Colpisce la mie mente giovane (sic!) il contrasto violento e irriducibile tra il cinismo della ”Ragion  di Stato” e le ragioni della memoria, della verità e del cuore. No, non posso accettare che tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale. La storia va interamente presa in carico e ripercorsa, ma non le si può permettere di schiacciare le ragioni dell’esistenza.

La presa in carico parte con il Patto di Londra del 26 aprile 1915, con il Trattato di Versailles, siglato il 28 giugno 1919, con il Trattato di Roma, del  27 gennaio 1924, che assegna Fiume all’Italia. Continua con le truppe jugoslave a Trieste ai primi di maggio del 1945. Comincia l’esodo della popolazione italiana, circa il 70%, mentre scompaiono alcune centinaia – ma alcuni sostengono migliaia – di civili italiani. È la pulizia etnica attuata con le foibe, gli assassini, le incarcerazioni del comunismo nazionalista titino.

Il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 imporrà la cessione di Zara, di Fiume e di gran parte dell’Istria alla Jugoslavia; la costituzione di uno stato cuscinetto, tra Italia e Jugoslavia, definito T.L.T. – Territorio Libero di Trieste, affidato alla tutela dell’ONU, comprendente Trieste e una parte dell’Istria, corrispondente a circa un quarto della penisola.
 Il 5 ottobre 1954 con un “Memorandum d’Intesa” gli Alleati restituiranno all’Italia la Trieste e dintorni, la “Zona A”. La “Zona B” con Capodistria e altre cittadine minori sarà consegnata alla Jugoslavia.

 

Il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 sancisce definitivamente la rinuncia alla sovranità italiana sulla zona B.
Il 16 gennaio 1992, Slovenia e Croazia sono riconosciute dai Paesi europei. In cambio l’Italia chiede la restituzione dei beni espropriati agli italiani da Tito e il riconoscimento dei diritti della minoranza italiana. In caso diverso, i due Paesi non potranno essere accolti nella UE. Nel maggio del 1996, con Prodi presidente del Consiglio e Piero Fassino, sottosegretario agli Esteri il contenzioso si chiude definitivamente, senza grandi contropartite per l’Italia.

Fin qui la storia. E la coscienza? Che cosa resta a un giovane 19enne come me di queste tragedie?  Intanto, nessuno a scuola me ne ha parlato. Mi sono dovuto arrangiare. Osservo i miei compagni di fatica e d’esame. Tutti a scrivere sulla felicità.  E mi chiedo: come si può parlare e scrivere di felicità – che non sia quella fatua, promessa dagli spot pubblicitari – senza fare i conti con la storia crudele e tragica del secolo che abbiamo alle spalle. Senza fare i conti con i dilemmi e gli interrogativi morali che essa pone alla coscienza contemporanea?…
Chi accompagnerà noi ragazzi in questo itinerario, se la scuola resta muta, se gli adulti parlano d’altro?

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