“Ai sensi della legge 30 marzo 2004 la Repubblica riconosce quale giorno del ricordo al fine di conservare e ricordare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe dall’esodo dalle lore terre degli istrani fiumani dal secondo dopoguerra.
Il candidato delinei la complessa vicenda del confine orientale del patto di Londra, del trattato di Osimo, soffermandosi in particolare sugli eventi tra il 1943 e il 1945. Il candidato delinei la complessa vicenda del confine orientale del patto di Londra, del trattato di Osimo, soffermandosi in particolare sugli eventi tra il 1943 e il 1945″.
Senza memoria un popolo muore. Per questo l’Alzheimer è così terribile. Si perde la coscienza di ciò che ci costituisce, si è sballottati da un vento interiore e non si ha base su cui poggiare. Questo vale per gli eventi fausti, ma anche per le ferite. Ci sono lutti che cementano l’identità. Dimenticarli, o peggio nasconderli, come si è fatto per troppi anni è un’offesa per le vittime, ma impedisce la vera pacificazione di una nazione: perché non è occultando che si sanano le lacerazioni, ma è perdonando e chiedendo perdono reciprocamente.
La giornata del ricordo per le vittime delle foibe e delle deportazioni sul confine orientale dell’Italia è dunque importante per ripensare alle vicende tremende di quel periodo segnato prima dall’occupazione nazi-fascista e dalla resistenza, fino a una liberazione che ha dato la stura all’odio contro gli italiani e chi non era comunista, da parte dei cosiddetti “titini” appoggiati neanche nascostamente dal Partito comunista.
Sia chiaro: le migliaia di morti del dopoguerra non sono stati oggetto di una vendetta, quasi fosse una eliminazione dei carnefici. Ha avuto un intento ideologico: consentire il trasferimento del Friuli e della Venezia Giulia nei confini della Jugoslavia allora alleata di Stalin. La prova che non fu una reazione al totalitarismo nazi-fascista, colpevole di atti bestiali, sta in un episodio da non dimenticare, e anch’esso di recente oggetto di una decisione del Parlamento che l’ha votata unanimente in Commissione cultura della Camera. E cioè il riconoscimento di monumento nazionale alle malghe di Bosco Romano e Porzus nei pressi di Udine dove furono trucidati dai partigiani comunisti alleati degli sloveni di Tito i resistenti cattolici delle Brigate antifasciste Osoppo.
Per anni questo episodio è stato taciuto o trattato come “fatto controverso”. In realtà la luce della ricerca storica mostra chi fossero i protagonisti di quel decennio.
1) Il nazi-fascismo, e la sua tirannide, che si estese in Istria e Dalmazia, con eccidi e campi di concentramento, e la deportazione di ebrei.
2) La resistenza, che vide alcuni operare per la liberazione di quelle terre per un’Italia democratica, e altri in vista del passaggio dal fascismo al comunismo. Ed essendo improbabile la vittoria dei filosovietici nella penisola, intanto si trattava di consegnare il Friuli e il territorio di Gorizia e Trieste a Tito.
3) La resistenza jugoslava. Combattenti gloriosi. Ma immediatamente consapevoli che in ballo c’era la pulizia etnica della Dalmazia e la conquista delle Regioni orientali dell’Italia con la complicità dei compagni (Togliatti vide con benevolenza questa strategia)
4) La popolazione italiana. In particolare i sacerdoti. Chiunque non fosse comunista e non manifestasse docilità ai nuovi padroni rischiava l’assassinio. Le foibe erano cavità naturali in cui furono gettati vivi, legati tra loro col filo di ferro, uomini e donne che avrebbero potuto costituire una classe dirigente alternativa a quella comunista. La deportazione degli italiani, il loro trasferimento coatto in Italia dall’Istria fu il naturale seguito di questa selezione razzista.
5) Gli alleati anglo-americani. Sostennero la liberazione, furono decisivi anzi. Ma guardarono senza intervenire questi massacri di inermi.
Ricordare quei giorni oggi non significa, non deve significare, puntare il dito contro questo o quello, ma ritrovare nella pietà per i morti e nel giudizio di condanna verso il totalitarismo di qualsiasi colore, le ragioni dell’unità della nostra patria, fondata sul lavoro e sulla libertà.