Prendo atto con viva soddisfazione che, per la formazione degli insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia, sarà presto prevista una laurea a ciclo unico e una prova nazionale di accesso al percorso formativo. È ragionevole ipotizzare che alla prova nazionale faccia seguito una graduatoria nazionale dei giovani che possono iscriversi al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, dal momento che l’abilitazione all’insegnamento è valida sull’intero territorio nazionale.



Mi auguro che la prova di accesso sia molto rigorosa nell’accertamento delle competenze disciplinari degli aspiranti docenti in modo che l’università, essendo sgravata dai “compiti di recupero scolastico”, possa curare bene le didattiche delle diverse discipline. Manifesto invece il mio fondato timore che il nuovo corso di laurea quinquennale a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria possa togliere specificità alla formazione del docente della scuola dell’infanzia, perché la tabella 1 della LM 85 bis è “modellata” in maniera esagerata sul ruolo del docente di scuola primaria.



Auspico che, nella redazione del testo definitivo del decreto, l’attenzione si concentri meno sulle richieste dei professori universitari – che sono riusciti a inserire nell’area 1 della tabella 1 ben 34 settori scientifico-disciplinari (oltre alla lingua inglese, giustamente presente) -, e più sulle esigenze educative dei bambini della scuola dell’infanzia, che hanno percorso formativo articolato in 5 campi di esperienza, e sulle esigenze degli alunni di scuola primaria, che devono apprendere 10 discipline, così come prevedono le indicazioni dei ministri Moratti e Fioroni e le disposizioni del ministro Gelmini per la scuola dell’infanzia e primaria.



Ritengo che se si vuole riconoscere pari dignità scientifica alla formazione degli insegnanti dei due tipi di scuola, bisognerebbe assegnare ad ogni ambito disciplinare dell’area 1 della tabella 1 “i saperi della scuola”, almeno 10 CFU. In questo modo l’insegnamento delle discipline potrebbe essere impartito in forma differenziata per la scuola primaria e per quella dell’infanzia, così come è già previsto per i laboratori. L’eliminazione dei due ambiti disciplinari dell’area 1, che non sono contemplati dalle Indicazioni nazionali, consentirebbe di aumentare leggermente i CFU degli altri 10 ambiti disciplinari e quindi di articolare la proposizione dei “saperi della scuola” secondo le caratteristiche della scuola primaria e della scuola dell’infanzia.

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Dal momento che il nuovo corso di studi entrerà in vigore nell’a.a. 2011-12, è ancora possibile trovare un modo per diversificare il percorso formativo degli insegnanti di scuola dell’infanzia rispetto a quello degli insegnanti di scuola primaria.

 

Se si vuole trovare una soluzione che consenta al nuovo insegnante della scuola dell’infanzia di lavorare anche nella scuola primaria e nell’asilo nido, con uno o due anni di formazione aggiuntiva specifica, occorre spostare il dibattito dalla “quantità” dei settori scientifico-disciplinari necessari per la formazione alla “modalità” della formazione specifica per le diverse professioni educative.

 

Negli ultimi tre anni è prevalsa la tesi che una professione educativa acquista maggiore rilevanza, con conseguenti ipotetici aumenti stipendiali, per il maggior numero di anni di formazione che essa richiede. Secondo me, bisogna invece considerare la formazione degli insegnanti di scuola dell’infanzia anche dal punto di vista qualitativo per almeno tre motivi.

 

Non mi sembra opportuno che nel nostro Paese gli anni di formazione iniziale per l’insegnante di scuola dell’infanzia siano superiori a quelli di altri Paesi europei, mentre la scuola italiana dell’infanzia continua ad ottenere riconoscimenti internazionali e – caso unico per l’intero sistema dell’istruzione e della formazione !- nessuno avverte l’esigenza di riformarla. In Italia ci sono, in questo momento, più richieste di insegnanti per la scuola dell’infanzia che non per la scuola primaria; inoltre le possibilità occupazionali sono ancora maggiori per gli educatori dell’ asilo nido. Il giovane in possesso del titolo di insegnante di scuola dell’infanzia, se volesse, dovrebbe poter proseguire il suo percorso formativo conseguendo anche il titolo di insegnante di scuola primaria oppure quello di educatore per la prima infanzia.

 

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Le motivazioni socio-politiche della mia proposta sono due: abbreviare i tempi di attesa per l’accesso dei giovani al primo lavoro in campo educativo e consentire agli insegnanti in servizio, con una successiva formazione universitaria, ulteriori sviluppi della carriera professionale nell’ambito delle professioni educative scolastiche ed extrascolastiche.

 

Se c’è la volontà politica di anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, precisamente nella scuola dell’infanzia e nell’asilo nido, si possono trovare le soluzioni tecnico-curriculari che garantiscano in ogni caso la qualità della preparazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia. Se invece tale volontà politica non ci fosse, siccome il testo attuale della tabella 1 è chiaramente “sbilanciato” sulla scuola primaria, occorre che nel testo definitivo ci siano dei “paletti” che obblighino i Consigli dei corsi di studio a differenziare il tipo di formazione esplicitamente destinata alla formazione specifica degli insegnanti della scuola dell’infanzia.

 

Per esempio, si potrebbe prevedere che nel percorso formativo quinquennale, durante il primo triennio, gli studenti acquisiscano le conoscenze, le abilità e le competenze comuni sia all’insegnante di scuola dell’infanzia che all’insegnante di scuola primaria, come pure quelle specifiche solo per l’insegnante di scuola dell’infanzia; durante il quarto e quinto anno del corso di laurea magistrale lo studente acquisirebbe poi le conoscenze, le abilità e le competenze che servono esclusivamente per insegnare nella scuola primaria. In questo modo non si cambierebbero gli ambiti disciplinari dell’area 1 della tabella 1 (tranne i due che non sono previsti dalle Indicazioni Nazionali), ma si interverrebbe solo per distribuire le attività formative, già previste, fra il triennio e il biennio.

 

 

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