Non nascondo che mi sono recato al convegno organizzato il 6 luglio scorso a Montecitorio, sotto il patrocinio del Presidente Gianfranco Fini, con un certo scetticismo verso il rischio di un’altra “parata” che, nonostante le ottime intenzioni della presidente Maria Grazia Colombo, puntasse più a “commemorare” la legge di parità 62/2000 che non ad offrire un’occasione politica tendente a dare, finalmente, una svolta che punti a rimettere mano all’aratro per portare a compimento la parità scolastica nel nostro Paese.



Devo riconoscere al contrario, con onestà intellettuale, che il convegno ha indubbiamente avuto una valenza politica poiché, piaccia o non piaccia, ha cercato di attirare l’attenzione dei media e del mondo politico sull’”annosa questio” in una prestigiosa sede istituzionale, presente anche il ministro Mariastella Gelmini.



In secondo luogo non sono mancati spunti interessanti nelle diverse relazioni a partire da concetti che, altrettanto onestamente, dovrebbero ormai essere acquisiti come l’affermazione che la scuola paritaria svolge un servizio pubblico, o che scuole statali e paritarie fanno parte di un unico sistema nazionale di istruzione, o che la presenza della scuola paritaria permette un forte risparmio finanziario allo Stato, aggiunti ad altri che aprono qualche spazio al dibattito culturale quale la rivalutazione del principio di parità quale principio laico, ricordato dal Presidente Fini citando Valitutti: “la costruzione della scuola statale – osservò l’esponente del PLI che fu ministro della Pubblica Istruzione alla fine degli anni ’70 – tolse spazio e stimolo alla scuola dei privati



In quanto scuola laica. Il laicismo culturale si rifugiò in larga misura nella scuola statale e con essa si identificò”e, pertanto, da perseguire proprio ai fini di una vera laicità della scuola, così come la necessità di dare una giusta definizione alla sussidiarietà affinché non sia più utilizzata al contrario, come oggi, ma abbia la sua piena applicazione in ambito scolastico aprendo, in questo modo, la strada alla realizzazione di una piena parità.

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Su questo punto in specifico si è acceso un pacato ma vivo dibattito culturale che ha evidenziato i contrasti ideologici ancora esistenti. L’onorevole Mazzarella, esponente del Partito democratico – forza politica che ha avuto un ruolo determinante nell’approvazione della legge di parità – oltre ad affermare che l’obbligo di istruzione nasce dalla statualità e pertanto deve essere assolto sostanzialmente nelle scuole di Stato, ha sostenuto che il principio di sussidiarietà è applicabile solo limitatamente alla scuola e da qui nasce la vera motivazione del limitato intervento dei ministeri in questi anni. Affermazione forte che ha suscitato inevitabili reazioni, in particolare da parte del Rettore della Lumsa.

 

Il professor La Torre ha voluto dapprima evidenziare l’errore culturale fatto da quanti identificano ancora pubblico con statale, ricordando che sono pubbliche tutte le istituzioni che offrono prestazioni di servizi di carattere generale, per esporre di seguito una sua tesi giuridica che punta a superare il punto di forza di ogni attacco ideologico alla concreta realizzazione della parità: il “senza oneri per lo stato”.

 

La tesi punta ad una interpretazione di quanto è affermato dalla Costituzione nell’articolo 33, distinguendo il dettato del terzo comma che ritiene si riferisca alle scuole meramente private e quanto affermato nel quarto comma, riferito alle scuole paritarie. Il suo intervento si è concluso ribadendo il dettato dell’articolo 118 della Costituzione ed una corretta definizione di sussidiarietà intesa come principio che sancisce l’intervento dello Stato laddove la società civile organizzata non riesce a coprire i servizi necessari ad offrire i servizi pubblici utili e ai cittadini.

 

Principio ripreso con toni diversi anche da Alessandro La Terza, presidente delle Commissione Cultura di Confindustria, che ha voluto segnalare che, ad esempio, ben 500 dei 650 istituti paritari pugliesi sono scuole dell’infanzia: quale miglior concreto esempio di sussidiarietà?

 

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Infine alcune dichiarazioni autorevoli dei partecipanti. “Vi è l’esigenza – ha detto il presidente Fini – di un riordino del sistema paritario che, oltre a evitare i conflitti di competenza tra Stato e Regioni, dia certezza a famiglie e istituti scolastici nella fruizione dei sostegni previsti dalla legge” e di “permettere anche alle famiglie meno abbienti di scegliere quella che ritengono sia la migliore opzione educativa per i propri figli”, o quelle del ministro Gelmini tese a riconoscere la presenza di discriminazioni economiche e ad evidenziare l’oggettiva differenza di costi tra il sistema paritario e quello statale (584 contro 6.116 euro), citando dati tratti dal dossier Agesc pubblicato lo scorso anno, affermate in un contesto generale degli interventi teso a riconoscere che il principio di parità è ormai trasversalmente accettato anche se si è ancora di fronte a pregiudizi ed a qualche steccato ideologico che rallentano il percorso, rischiando di renderlo ancora lungo, hanno offerto l’“assist” per l’intervento finale della presidente dell’AGeSC.

 

Maria Grazia Colombo ha voluto evidenziare la necessità che la parità scolastica, percorso di libertà, deve essere portato a compimento per por fine ad “un incredibile caso di sussidiarietà all’incontrario (le famiglie sussidiarie dello Stato) a danno delle stesse famiglie di scuola paritaria” che debbo accollarsi circa 6.245 milioni di euro l’anno per supplire il mancato intervento dello Stato. “La crisi economica non può servire sempre come alibi” ha proseguito, chiedendo con forza interventi immediati che rendano stabili e garantite le pur ridotte risorse attualmente erogate dallo Stato affinché non si debba più assistere all’“annuale ricatto finanziario” in occasione dell’approvazione della legge finanziaria. Al centro vi deve essere la libertà di scelta, una battaglia culturale oltre che economica poiché l’educazione è un bene pubblico, e non un fatto privato, che si può raggiungere solo attraverso un pluralismo educativo.

 

Sarà solo la concreta volontà politica, che potremo verificare nei prossimi mesi, che ci dirà se questo autorevole convegno è stato una “commemorazione” o una “celebrazione” da cui ripartire per dare una risposta definitivamente positiva alle famiglie italiane.

 

 

 

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