Il parere favorevole della Commissione VII del Senato sul Regolamento riguardante la formazione iniziale dei docenti rappresenta un altro piccolo passo avanti verso l’apertura di un nuovo percorso abilitante dopo la sospensione dell’accesso alle SSIS dall’anno accademico 2008-2009 (art. 64, comma 4-ter, D.L. 112/2008).



L’atto della Commissione è subordinato all’intenzione del Ministero di scorporare l’attivazione entro il prossimo anno accademico dei tirocini formativi attivi (TFA), dall’avvio dei corsi di laurea magistrali: sia di quelli a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, sia di quelli per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado.



Questa decisione è un fatto positivo. Non c’è praticamente alcuna realtà che si occupi della vicenda (istituzionale, accademica, culturale, associativa) che non convenga sulla validità di questo proposito. Si tratta di una convergenza significativa e ampiamente motivata dalla emergenza di tipo vocazional-professionale rappresentata dalle migliaia di laureati in discipline concernenti l’insegnamento che non hanno sbocchi lavorativi adeguati agli studi svolti, in assenza, come detto, di un percorso abilitante.

A questa categoria di giovani desiderosi di accedere a un cammino professionalizzante e prossimi alla delusione, nel caso si verifichi per il terzo anno l’assenza di una normativa adeguata, si aggiunge quella dei docenti non abilitati che hanno svolto i fatidici 360 giorni di servizio nelle scuole del sistema nazionale di istruzione.



Due situazioni diverse, ma entrambe da sanare, posto che, come giustamente si è sottolineato da più parti, il riconoscimento del servizio svolto non si risolva in una semplice sanatoria, ma semmai nell’abbreviazione del percorso del TFA (che comprende, è bene ricordarlo, oltre a insegnamenti e laboratori pedagogico-didattici, anche 475 ore di tirocinio vero e proprio), previo superamento della prova d’accesso.

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Come s’è avuto modo di evidenziare in altre occasioni, riteniamo che la prova d’accesso al TFA e il conseguente punteggio utile per entrare nella graduatoria degli ammessi (che dovrà tenere conto anche dell’effettivo servizio svolto) siano un filtro sufficiente per intercettare coloro che, potendo vantare giorni di servizio magari racimolati nei modi più diversi, non sono in possesso delle competenze disciplinari e comunicative adatte all’insegnamento. Allo stesso modo, perseguendo questa formula, sono garantiti i diritti legittimi dei già abilitati tramite le vecchie SSIS e non ancora collocati in una posizione lavorativa sicura.

 

Durante i lavori in sede consultiva della Commissione VII del Senato, il sottosegretario Pizza dichiarava a nome del Ministero di voler contrastare un’altra stortura determinatasi in seguito al vuoto legislativo: quella dei laureati italiani che si abilitano all’estero (Spagna, Romania, Svizzera, ecc.) per poi far valere nel nostro Paese i titoli acquisiti.

 

Non abbiamo dati per calcolare l’entità del flusso, che è tuttavia conosciuta all’amministrazione centrale, se essa stessa dichiara (parole del sottosegretario) che “il fenomeno migratorio verso la Spagna di laureati italiani per conseguire l’abilitazione professionale è ben noto al Ministero”.

 

Non c’è altra modalità per contrastare una simile congiuntura, che impropriamente ma inevitabilmente alimenta il mercato parallelo dell’abilitazione all’insegnamento (con inevitabile dinamica di costi/guadagni), che decidersi a promuovere il vero e unico percorso abilitante nazionale.

 

Un’altra ragione ancora che depone a favore dell’accelerazione delle pratiche di partenza del TFA risiede nel termine posto dal Regolamento (art. 15) per accedervi (transitoriamente) con i requisiti con cui si accedeva alle vecchie SSIS: l’anno accademico 2012-2013, ovvero tra due anni, che è come dire secondo i tempi ministeriali, dopodomani.

 

La fase della revisione dello schema di Regolamento dovrà quindi essere breve e tale, al contempo, da recepire almeno alcuni punti qualificanti dei pareri espressi dagli organi consultati, sebbene non in termini vincolanti.

 

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Tra questi ricorre (nel parere della Commissione Cultura della Camera, come pure in quella del Senato) la richiesta di garantire una rappresentanza più equilibrata delle due componenti, scolastica e universitaria, all’interno del consiglio del corso di tirocinio e nella commissione d’esame che dovrà presiedere al conferimento dell’abilitazione.

 

Una istanza legittima, rappresentando il consiglio di corso di tirocinio un terreno di incontro tra scuola e università molto favorevole alla reciproca e virtuosa integrazione. Questa medesima prospettiva, quella dell’incontro operoso e operativo tra le due realtà cui compete di insegnare a insegnare, è funzionale, se ben costruita, all’altra importante dimensione del nuovo percorso professionale docente, che è la modalità dell’assunzione o reclutamento.

 

Il sistema abilitante è stato (giustamente) pensato come distinto da quello del reclutamento per evitare di ricadere nelle corsie obsolete delle graduatorie di reclutamento (ora ad esaurimento). Se lo è dal punto di vista normativo, non lo può essere da quello logico e culturale: un buon sistema di preparazione disciplinare e didattica del docente deve potersi sviluppare in un quadro di pluralizzazione delle forme del reclutamento: concorsi per titoli, concorsi ordinari (magari indetti dalle scuole o reti di scuole), chiamata diretta.

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