Charlie ha dodici anni e un cognome che non conosce. Charlie è stato chiuso a lungo in cantina in punizione. Charlie non sa nemmeno cos’è il Natale. Charlie non sa più leggere e far di conto. Charlie viene trovato per strada e portato in ospedale. Charlie inizia una nuova vita, ma non è affatto semplice, perché non sempre facile e semplice coincidono. In certe situazioni ciò che è facile, a portata di mano per chiunque, diviene quasi impossibile, come uscire di casa per tirare calci a un pallone insieme a un amico. Così come tornare a fidarsi di un grande.



La nuova vita di Charlie di Susan Shaw in libreria per Piemme e destinato a lettori coetanei del protagonista parla di una condizione estrema, clamorosamente patologica, di maltrattamento. Lo fa tuttavia con un certo garbo, pur non risparmiando al lettore toni a volte forti ed emotivamente coinvolgenti.

La vicenda è ben narrata in prima persona e ci dà modo di esplorare i pensieri del ragazzo, anagraficamente dodicenne, ma assai più indietro nella sua esperienza di vita. Tramite Charlie che racconta la sua storia e i suoi pensieri, di sovente tormentati e inquieti, abbiamo l’occasione di accorgerci in presa diretta come il primo attacco a un bambino sia l’inganno al suo pensiero, alla fiducia che ha imparato a riporre in un altro.



Prima ancora forse che le percosse, così macroscopiche e clamorose anche quando perpetrate lontano dagli occhi del mondo. Charlie mette in evidenza come la sua ingenuità, propria di ogni bambino, lo renda vulnerabile e lo esponga ignaro agli attacchi dei grandi quando smettono di volergli bene, ossia di volere il suo bene.

Nato e cresciuto con mamma e papà ha potuto assaporare almeno all’inizio il gusto della loro compagnia: “Quando le cose andavano bene”, espressione usata spesso dal ragazzo mentre ripercorre la sua storia, testimonia di un tempo favorevole in cui i grandi si muovevano per il suo vantaggio. Poco o tanto, magari parcellizzato in una gustosa zuppa di piselli coi wurstel a pezzettini, questo tempo è stato sufficiente per concedere piena e totale fiducia ai suoi maggiori.



Maggiori che il bambino vede e sperimenta come fonte di beneficio, dai quali si aspetta solo favori che è anche capace di propiziarsi con competenza e garbo. Quando invece dai grandi inizia sistematicamente ad arrivare il male, soprattutto quello spacciato a fin di bene (la cantina rappresenta una patologica sede di difesa dai presunti e delirati mali del mondo), il bambino si trova spiazzato e preda a un conflitto irrisolvibile; si trova soprattutto nella condizione di difendere a oltranza quei grandi fino ad allora sperimentati come buoni.

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Ecco allora il passaggio di pensiero – vero errore di pensiero – “sono io quello cattivo. Sono io a dover finire nei guai, non mio padre o mia madre”, come ci informa Charlie. Occorrerà del tempo, del lavoro e soprattutto il paragone con una normalità sperimentata in prima persona a riattivare il giudizio capace di valutare esattamente cosa sia successo, ossia che quello spacciato per amore era in realtà odio per il rapporto.

 

Quello di Charlie è un caso macroscopico, letterario sebbene purtroppo verosimile. La questione che pone invece vale per tutti i nostri bambini. Il vero attacco al bambino è a quella legge che si è costituita in lui coi primi teneri accudimenti secondo la quale il bene proviene sempre da un altro. Lo scandalo, davvero da macina al collo, è il tradimento, l’abdicazione dell’adulto quanto alla sua posizione di favorente il pensiero del bambino. Non basta però che l’attacco accada in modo puntiforme, occorre che sia sistematico e ripetuto perché il danno si costituisca.

 

Il papà di Charlie – forse un po’ troppo monoliticamente cattivo, troppo orco nei suoi tratti volutamente esasperati – ha almeno il pregio di mostrare la faccia untuosa e a volte mielosa dell’attacco che viene fatto ai bambini, quello perpetrato a fin di bene, spacciato per “amore” e proprio per questo così ingannevole e difficilmente smascherabile.

 

Amore è invece favorire i passi del bambino nella realtà, stimarne la competenza nel suo orientarsi secondo un principio di piacere già costituito precocemente. L’amore apprezza l’iniziativa del soggetto, la guarda con simpatia e la incoraggia, sostenendola con discrezione, senza invadenza né ironia. L’amore vive nella categoria della preferenza, non dell’esclusività. L’amore apre al reale dei rapporti, non rinchiude mai in cantine vere o ideologiche, dove il buio spegne progressivamente il pensiero e le sue facoltà.

 

Allora stiamo attenti a non ingannare i bambini, pur di difenderci saranno disposti a perderci in prima persona. Mi fido di te, è il loro motto. E lo fanno a ogni costo, fino ad annullarsi. Come adulti, desideriamo almeno di esserne il più possibile degni.