La maggioranza degli studenti che escono dalle Superiori non sanno scrivere: manca loro la padronanza della lingua. A dirlo è l’Invalsi, che ha reso noti i risultati della correzione di 545 elaborati di italiano a conclusione del ciclo superiore di studi. Ebbene, il Rapporto relativo agli esami di stato del II ciclo è scoraggiante: “in tutte le quattro fondamentali competenze (testuale, grammaticale, lessicale-semantica e ideativa) in cui si struttura la padronanza della lingua italiana si registra un voto medio inferiore alla sufficienza”. «Una carenza così forte nella padronanza dell’uso scritto rimanda alla inadeguatezza dell’insegnamento nei vari ordini di scuola», dice a ilsussidiario.net Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca e coordinatore del gruppo di lavoro Accademia della Crusca-Invalsi che ha condotto le rilevazioni.



Professore, come sono stati ottenuti questi dati e qual è la loro attendibilità?

 

I dati sono sicuramente attendibili per una serie di motivi ben precisi. Primo, è questo il secondo rilevamento generale sugli elaborati d’italiano dell’esame di Stato del II ciclo e i risultati, ottenuti da una diversa squadra di valutatori, si sovrappongono pienamente a quelli del rilevamento precedente. Secondo, ogni rilevamento si compie ad opera di due o tre schieramenti di valutatori, che operano indipendentemente e all’insaputa l’uno dell’altro. Terzo, uno di questi rilevamenti viene compiuto utilizzando una scheda di valutazione molto analitica; e infine, le istruzioni che vengono date ai valutatori “con scheda” propongono criteri di giudizio attenti alla varietà delle realizzazioni linguistiche accettabili e quindi allontanano il dubbio di un’applicazione di rigido purismo linguistico.



Qual è la situazione delle competenze dello scritto dei 19enni italiani da quel che emerge dalla rilevazione Invalsi?

 

La situazione è sintetizzabile in questi termini: il 54% dei candidati che si presentano a questo esame conclusivo della loro carriera scolastica dovrebbe essere bocciato in italiano scritto; questo 54% complessivo risulta da un 34% dei licei, un 67% degli istituti tecnici e un 80,5 degli istituti professionali. Si aggiungano gli appena sufficienti, rispettivamente il 41%, il 25% e il 14%. C’è poco da consolarsi.

Ma nella sostanza i dati cosa dicono?

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Per quanto riguarda le “facce” di questa incapacità di scrittura, metterei in rilievo, tra i molti, un dato: anche in quella ridotta percentuale di alunni (solitamente dei licei) che hanno un uso grammaticale e lessicale discreto o buono, è fortemente difettosa la punteggiatura. Si dimostra così che una certa proprietà di lingua si conquista dall’ambiente sociale e/o dall’insieme degli studi, ma è sicuramente carente l’insegnamento per l’uso scritto.

 

Quali sono secondo lei le ragioni di questi risultati? Che cosa si può fare per porre rimedio a questo stato di cose?

 

Prescindendo da tutti gli altri aspetti di disagio generale e inefficienza dell’apparato scolastico italiano (nel suo complesso), e prescindendo anche dal rapporto scuola-famiglia e scuola-società circostante, una carenza così forte nella padronanza dell’uso scritto in chi percorre l’intero iter scolastico rimanda alla inadeguatezza dell’insegnamento della madrelingua nei vari ordini di scuola. Stando al confronto dei voti, il livello di competenza raggiunto dall’alunno al termine del primo ciclo delle Superiori (ovvero della scuola media) in seguito non migliora e spesso regredisce. C’è una spiegazione ben precisa: a lungo si è sostenuto che nel secondo ciclo non c’era molto spazio per lo studio della lingua, perché incombeva lo studio della letteratura. Grave errore, anche per lo studio diretto dei testi, letterari e no.  

 

Le sembra che i regolamenti e le indicazioni delle Superiori appena varati possano venire incontro alle nuove esigenze?

 

L’orientamento generale dei vari progetti di riforma del curricolo delle Superiori non ha mai premiato, negli ultimi anni, il settore dell’insegnamento dell’italiano. Quasi che si ritenesse che più di quello che si era sempre fatto in questo settore non c’era da fare. Per questo, nell’attuale fase di gestazione delle nuove “Indicazioni”, da parte dei linguisti italianisti si è insistito nel segnalare l’errore del passato: si è chiesto di inserire, in una riconsiderazione generale dell’impostazione della disciplina di “Italiano” nella Scuola superiore, una parte specifica di permanente cura dello sviluppo delle capacità linguistiche. Nella bozza che è stata diffusa per le consultazioni aperte al pubblico questa richiesta appare accolta. Ci auguriamo che non ci siano ripensamenti.

 

Può bastare un’indicazione del genere, per quanto esplicita, sulla carta dei “programmi”?

 

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Non basta, ma è un punto di partenza indispensabile, per tre motivi: per evitare alibi nell’impostazione dell’insegnamento del docente; per spingere l’editoria a produrre testi adeguati; e soprattutto per indurre l’università a fornire insegnamenti più appropriati a questo scopo nei piani di formazione dei futuri insegnanti. Quest’ultimo obiettivo richiede che nei concorsi di accesso all’insegnamento sia nettamente verificata la preparazione dei candidati all’insegnamentodella lingua italiana nei vari ordini di scuola, fino all’ultimo anno delle Superiori. Questa verifica non c’è mai stata, perché si è sempre scambiata la lingua (in tutta la varietà dei suoi usi e la sua tecnicità) con la letteratura (anzi, con la storia della letteratura) e con una generica preparazione “didattica”, e perché la linguistica italiana, disciplina giovane, non era molto familiare ai Commissari stessi.

 

Dopo questi risultati, potrebbero essere riviste le tipologie delle prove scritte, anche se a suo tempo furono un’innovazione a fronte del solo tema tradizionale?

 

Ritengo che le tipologie proposte siano ancora rispondenti e diano all’alunno la possibilità di orientare la propria produzione scritta secondo le proprie propensioni. Credo però che manchi un’adeguata pratica di queste stesse tipologie durante gli anni di studio. Sono istruttivi i dati relativi all’analisi del testo e al saggio basato su documenti forniti. Il primo tipo viene scelto da pochissimi, perché manca l’abitudine ad affrontare analiticamente un testo, specie se non noto in precedenza. Molti di quelli che scelgono il secondo tipo non utilizzano bene le fonti messe a disposizione: lo prendono come il solito tema da svolgere seguendo il filo delle proprie idee. Qualcuno, invece, fa un collage dei brani forniti senza estrarne e confrontarne le idee che contengono.

 

Ha saputo l’ultima? Un Commissario francese, Michel Barnier, ha proposto di escludere l’uso dell’italiano nella presentazione dei brevetti industriali. Che ne pensa?

 

Dopo tante altre occasioni in cui la lingua italiana è stata emarginata dagli usi ufficiali – concorsi, appalti – dell’Unione europea, è l’ennesimo tentativo in atto di farla arretrare ulteriormente. Fin quando non ci preoccupiamo di far usare bene l’italiano alle nostre giovani generazioni, ci meriteremo questo e altro.

 

 

 

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