Caro direttore,
Il continuo leggere di compiti che il vate di turno attribuisce a docenti, a legislatori, a “esperti didatti” mi induce a suggerire di inserire nelle pedine del gioco un corpo estraneo, una sottigliezza che ad oggi non mi risulta preso in considerazione da alcun “esperto”: il dirigente scolastico. La sua funzione è ritenuta nei vari scritti trasparente: non se ne parla perché si ritiene che sia meramente formale? Perché forse si occupa prevalentemente di aspetti amministrativi? O per un altro motivo?
Penso che l’errore di ritenere che il peso della scuola sia sulle spalle dei docenti dovrebbe essere corretto: il docente svolge il suo lavoro, come tutti, con una qualità che ad oggi non può essere ancora valutata. Tutti riconosciamo che, “ad occhio”, un docente è meglio di una altro ma su che criteri ci basiamo? Come dicevo, ad occhio.
L’unica modalità ad oggi permessa dal complesso di norme, normette, Ccnl, Ccni, Cir, note Miur, Regione, Asl, Mef, ecc. è quella che il dirigente può solo stabilire l’aderenza dell’azione di ogni suo docente alle indicazioni univoche che il collegio docenti delibera. Unitarietà delle modalità di erogazione del servizio, attinenza alle dichiarazioni di qualità proposta ad inizio anno, serietà nel rapporto con l’utenza, capacità di lavoro in team.
Questi aspetti li deve indirizzare il dirigente (dirigere = dare direzione, non decidere) ma poi li deve seguire perché siano effettivamente eseguiti. Il docente che si discosta da queste linee potrebbe essere sanzionato, nello stesso modo con cui il dirigente è esposto ad una miriade di possibili azioni sanzionatorie civili e penali, quasi sempre conto terzi.
Il regolamento attuale non considera la pesante responsabilità che nel processo formativo acquisisce il dirigente scolastico. Sembra quasi che il docente che vuole fare il tutor si presenti al Miur e questo lo baci in fronte per farlo diventare “tutor”. Sembra che basti essere anziano di servizio per fare il tutor (dato che mancano criteri valutativi del ruolo docente). Sembra che chi ha fatto prima il docente e poi ha pure vinto un concorso per dirigente non possa svolgere come (o forse meglio) lo stesso incarico. Sembra che l’università abbia parametri per scegliere le sedi scolastiche su cui appoggiare i tirocini per dare una qualità elevata all’azione formativa. Sembra che dieci anni di lavoro nelle SSIS debba essere cancellato senza adeguato dibattito per salvare il buono e buttare il cattivo.
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Mi auguro proprio che nessuno pensi ancora che si possa selezionare il merito con esami tipo quelli dell’università, che sono solo interrogazioni liceali più lunghe e hanno decisamente valore solo per accertare la conoscenza “cruda”. Nessun accenno a valutazioni autentiche basate sugli stessi parametri che gli stessi universitari (es. Comoglio, Castoldi e moltissimi altri italiani oltre ai grandi esteri) pretendono di veicolare alle scuole “inferiori”. Quanti docenti dell’università conoscono queste tecniche didattiche? Come potranno queste persone formare dei docenti credibili, che verranno a lavorare nelle scuole?
Io sono certo che anche le scuole sceglieranno se e con quale università collaborare, al fine di mantenere il loro profilo di offerta allineato al dichiarato. Non è possibile selezionare quanti sono già in servizio, ma è possibile non accettare tirocini da coloro che non si reputano all’altezza di “docere” per formare professionisti preparati all’insegnamento secondo le indicazioni nazionali attuali. Come sarà possibile predisporre percorsi di tirocinio senza la fondamentale presenta nello staff progettuale della figura del dirigente scolastico?
Non siamo più in un’epoca dove la scuola deve trasmettere informazioni: altri possono essere i luoghi dove reperire ciò di cui si necessita. Ormai il primo valore che passa nelle classi è l’esempio personale. Come è inserito questo fondamentale tassello all’interno dei percorsi di formazione universitaria? I professori delle università si pongono questo problema o sono solo capaci di lamentarsi perché i ragazzi che mandiamo loro non sanno scrivere o fare i conti? E pensare che ci arrivano dopo una selezione che dura cinque anni. Sono mai entrati un una classe attuale di una scuola media periferica o di un istituto professionale e poi in uno scrutinio? Hanno letto la lettera della scuola dove sono stati bocciati 16 su 33 alunni in prima superiore?
Benvenuti nel mondo reale, dove lo studio è una conquista, dove l’amore per la conoscenza deve partire dal docente per essere preso, per osmosi, dal discente. La motivazione è la chiave.
Pierluigi Alessandrini, dirigente scolastico