Archiviato l’anno scolastico, è tempo di bilanci. Come consuetudine ai ragazzi che frequentano il Centro di formazione professionale In-presa chiediamo di concludere l’anno con una lettera ad Emilia (Emilia Vergani, Assistente sociale a Carate Brianza e fondatrice di In-presa grazie alla sua reale passione per il destino buono dei ragazzi che incontrava; scomparsa prematuramente il 30 ottobre del 2000), perché anche loro, che non hanno potuto conoscerla, possano rendersi conto che c’è un’origine chiara e precisa del loro cammino. Una lettera dei ragazzi di terza e …che sorpresa!



«Cara Emilia, sono Nancy. Sono entrata a In-presa tre anni fa non conoscendo nulla della scuola e ancor meno della persona che l’aveva creata. Con questa lettera voglio in qualche modo dimostrarti la stima che ho verso di te, anche se non ti ho mai conosciuto, ma faccio parte anch’io della grande famiglia che hai costruito. Grazie ad In-presa ho scoperto valori importanti nella vita e in questo percorso sono cresciuta, grazie a te che hai donato il tuo tempo a “noi”; ma soprattutto hai cercato di trasmettere ”il tuo spirito” alle persone che ci seguono e ci aiutano ogni singolo giorno. Per me In-presa è stata una “rinascita”: arrivavo da un “mondo” dove c’era solo il rapporto scolastico. Ne ho scoperto un altro, dove c’ero io, la scuola e delle persone pronte a venirti incontro. Sinceramente all’inizio ero di quelle persone che dicevano che questa scuola è da “sfigati”, ma ora posso dire che era il pregiudizio di una bimbetta. Ora vado fiera di aver frequentato questa scuola, che tu ci hai donato senza aver nulla in cambio».



«Sono venuto qua per caso – dopo la terza media ho cambiato comunità e la scuola che avevano scelto per me prima era troppo lontana – . Mi ritengo veramente fortunato di questo “cambio” perché questa scuola mi ha dato molto, non solo a livello di istruzione, ma mi ha aiutato a crescere: in questa scuola ho avuto modo di confrontarmi con i professori anche su faccende “private”, ti danno la disponibilità ad aiutarti, a parlare con loro e a trovare insieme la soluzione dei problemi. Io mi ricordo ancora del bamboccio che c’era in me e il ragazzo che c’è adesso… una cosa molto utile che è stata inserita in questa scuola sono i tutor perché è un modo di dirti: “Non sei solo!”». (Luca)



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«Per me la scuola è la mia casa, perché mi sento accolta. Appena arrivata a scuola mettevo alla prova i professori e i tutor… ringrazio molto la scuola perché adesso ho dei veri amici e delle persone che mi vogliono per quello che sono e non per quello che dimostro». (Claudia)

 

Un’accoglienza grazie alla quale è possibile, così, affrontare qualsiasi avventura, dal lavoro (sin dal secondo anno i ragazzi vanno in stage) allo studio: «Comunque ti sono grata, perché grazie a te non solo io, ma tanti altri ragazzi dopo aver avuto delle delusioni scolastiche possono venire qui a trovare riparo come in un grande ombrello. So che non potrai leggere la mia lettera, ma so che saresti orgogliosa di ognuno di noi che è passato a In-presa… In questi tre anni (ero stata bocciata in un altro istituto) ho capito che non ero io che non volevo andare a scuola prima, ma era la scuola che non era così interessata a farmi imparare». (Claudia)

 

Viene in mente la provocazione di Appelfeld: «Non vale la pena di rovinare una vita intera per un po’ di matematica. A scuola, come nel gregge, c’è chi comanda e chi segue. Al posto di un figlio che segue, ho un figlio il cui cuore domanda» (A. Appelfeld, Tutto ciò che ho amato, Giuntina, p. 205). Certo che è una provocazione, perché la scuola è che attraverso la matematica, l’italiano, l’inglese, il laboratorio possano essere suscitati “cuori che domandano”: «Ad In-presa ho professori che si interessano di ogni singolo alunno e mi è venuta voglia di studiare e mettendo in moto il mio cervello ho scoperto di essere una ragazza profonda e volenterosa di imparare» (è sempre Claudia).

Una matematica, un italiano, un inglese, un laboratorio che mostrino la pertinenza con l’esistenza, che facciano luce sulla realtà.

 

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Sunset Limited è un breve, ma intenso, racconto di C. McCarthy ricco di spunti interessanti per chi vuole percorrere l’avventura educativa nell’insegnamento. «Nero: A che servono idee del genere [si riferisce all’istruzione del Bianco] se poi non riescono a farti tenere i piedi incollati per terra quando arriva il Sunset Limited [il treno sotto il quale il Bianco ha tentato di suicidarsi] a centotrenta all’ora?» (Cormac McCarthy, Sunset Limited, Einaudi, p. 22). È l’uso delle materie al servizio della coscienza della realtà.

 

Così insegnanti e allievi divengono costruttori della scuola come di una grande opera: «Cara Emilia, per descriverti questi miei anni a In-presa mi è venuto in mente un esempio di F. Michelin che abbiamo letto in classe […] Anche tu, cara Emilia, l’hai costruita questa cattedrale, e questa cattedrale è la nostra scuola. Io la chiamo nostra perché dopo tre anni anch’io ho potuto aggiungere quel tassello importante per farla diventare mia!». (Riccardo)

 

 

 

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