Che cosa sta alle spalle della “Personalising Education”, già oggetto del Rapporto Ocse del 2006 intitolato: “Schooling for Tomorrow: the Personalising Education”? Stanno due catene intrecciate di eventi: la crisi dello Stato nazionale e la globalizzazione (Web, Genetica, Nanotecnologie, Robotica ecc…). Dal 1500 fino al 1945 gli Stati nazionali sono stati protagonisti della storia del mondo. La Seconda guerra mondiale li ha spazzati via. La dissoluzione dei blocchi dopo il 1989 non ha riportato all’egemonia culturale dello Stato, semmai ad un mix glocal (global+local). L’effetto sulla collocazione delle persone-cittadini nella società è stato molto simile a quello prodotto dalla crisi della polis greca nel passaggio all’ellenismo: la riscoperta che la dimensione di cittadinanza non è conclusiva, che lo Stato non può assorbire tutte le dimensioni della persona.



Perciò, dopo le ubriacature – nazionaliste, totalitarie, democratiche – del cittadino-massa, è tornata a galla “la persona”. Il nostro sistema educativo ha continuato imperterrito a pretendere di “educare” cittadini, ma le persone chiedevano altro fin dagli anni ’60. I movimenti studenteschi, già dal Manifesto di Port Huron del 1962 fino a Berkeley (1964) e al ’68 europeo, pretendevano molto di più. Questo movimento di passaggio dal cittadino alla persona – furono l’esistenzialismo e il personalismo cristiano a segnalarlo per primi come esigenza già negli anni ’30 per reazione ai totalitarismi – si incontra oggi con una straordinaria crescita delle potenzialità della mente, resa possibile dallo sviluppo tecnico-scientifico, dal Web, dalla genetica, dalle nanotecnologie, dalla robotica. Scenari intuitivo-lineari, più prudenti, e scenari esponenziali, più tecno-utopistici, convergono nella previsione che entro i prossimi 40 anni “l’intelligenza non-biologica eguaglierà la ricchezza e la raffinatezza dell’intelligenza umana” sia per l’accesso a un’enorme mole di dati sia per la capacità di attivare nuove connessioni esplicative.



Nei prossimi decenni si realizzerà l’integrazione nel cervello e nel corpo di “nano-robot” della dimensione di una cellula, in grado di potenziare enormemente l’estensione e l’intensione dell’intelligenza umana del mondo. Mentre i nostri cervelli usano segnali chimici, che permettono di trasmettere informazioni ad una velocità di alcune decine di metri al secondo, la nano-elettronica sta arrivando ad essere 100 milioni di volte più veloce delle lenti sinapsi del nostro cervello. L’homo sapiens digitale del XXI secolo sarà avvolto da una velocissima “nube della conoscenza” che proviene da ogni direzione del Web. Il primo effetto: la società intera sarà percorsa da una corrente continua di conoscenza, informazione, ricerca, e, pertanto, costituita di un tessuto potenzialmente educante diffuso e policentrico.



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 Se tutto ciò porterà ad una “digital wisdom” – alla sapienza digitale – o ad una schiavitù tecnologica invasiva, come rispettivamente prevedono utopici e distopici, non siamo in grado di prevedere. In ogni caso, è alla radice di questo dilemma che incontriamo i New Millennium Learners, in parole povere, i nostri figli. Una cosa è certa: i sistemi educativi tradizionali, quali abbiamo ereditato dalla seconda metà del ‘700, sono strutturalmente incapaci di affrontare i problemi dell’educazione dell’homo sapiens digitale, cioè delle generazioni cui si spalancano davanti grandi potenzialità di sviluppo umano accelerato e corrispondenti rischi. E’ anche prevedibile che la loro educazione sarà sempre meno delegata ad apparati specializzati centralizzati; sarà piuttosto una funzione condivisa, diffusa e esercitata lungo linee plurali e gangli molteplici della società della conoscenza.

C’è tuttavia una condizione antropologica e culturale preliminare della “Personalising Education”. Se le “generazioni educanti” hanno paura del tempo presente, se il futuro è percepito come una minaccia, se stanno chiuse in un tradizionalismo rancoroso e ossessivo – magari in nome di nobili valori da preservare nella corrente tumultuosa del tempo – allora accadrà – sta già accadendo – che le generazioni da educare andranno in solitudine verso il futuro. Respingeranno gli educatori. Nelle scuole accade già ora quotidianamente, allorché apprendimenti e insegnamenti si allontanano reciprocamente secondo linee di frattura. Se una generazione non ama il tempo storico in cui si trova collocata, non è in grado di educare.

 

Il futuro, certo, non è una disciplina che si possa insegnare; ci si va incontro, solo se qualcuno ti passa il testimone del passato storico e logico dell’umanità. Ma il passaggio ha successo solo se c’è una pre-comprensione empatetica del presente/futuro delle giovani generazioni. La dinamica tra le generazioni vede oggi i figli naturalmente protesi verso il futuro e i padri che lo scrutano come un abisso oscuro. Per dare ai giovani il passato che non hanno, così da portarli all’altezza del presente storico – questa è l’educazione! – occorre amare il loro presente/futuro.

 

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 Quanto alle scansioni essenziali della Personalising Education, sono già state individuate da tempo sia a livello internazionale sia nazionale: il curriculum essenziale, costituito da competenze-chiave (tradotte in Italia in quattro assi: linguaggi, matematico, scientifico, storico-sociale) e ri-ordinato in pochi indirizzi flessibili, di pari livello culturale e reciprocamente comunicanti; la certificazione dei risultati, non il valore legale del titolo; la valutazione esterna; l’autonomia delle scuole intesa non come decentramento funzionale, ma come auto-organizzazione istituzionale della società educante (persone, famiglie, imprese, comunità locali…); nuova ormazione/reclutamento/carriera/valutazione degli insegnanti e dei dirigenti. La realizzazione di questi passaggi porterà alla diminuzione delle materie e del tempo-scuola (anni, giorni, ore), alla concentrazione sul sapere essenziale e fondativo, al LifeLong/LifeWide Learning, alla “personalizzazione dei percorsi”, alla valorizzazione dei talenti (ciascuno possiede almeno un talento!) e delle vocazioni di ognuno.

 

Fantasie utopiche di sistemi educativi perfetti? I sistemi non sono perfetti; possono solo aderire realisticamente alle condizioni del futuro che si rovescia nel presente, essere flessibili e perfettibili, per consentire al talento e alla libertà individuale di assumersi tutte le responsabilità dello stare nel mondo. L’unica utopia irrealistica e inconcludente è, viceversa, quella del nobile “realismo conservatore”. Ne riferisce Platone nel Fedro: Socrate si oppone all’introduzione della scrittura, perché fa perdere la memoria della tradizione. La resistenza non ebbe successo: si passò dal cervello orale al cervello che scrive al cervello che legge. Ora c’è chi, in nome del cervello che legge, si oppone al cervello digitale. Si comprendono bene le ragioni di un’angoscia oscura e sotterranea, che scorre sotto le posizioni conservatrici e stataliste: che nella globalizzazione la società civile tende a frammentarsi e le persone a disperdersi in una miriade di punti irrelati, in indifferenza o in guerra reciproca.

E’ la condizione nichilista. Perciò torna di continuo la tentazione di chiamare in aiuto lo Stato per “tenere insieme”, anche su piano educativo, la società, le famiglie, le persone. Ma lo Stato non è un valido aiuto contro il nichilismo. Nella società della globalizzazione l’unità dell’Io e la relazione con gli altri è sempre meno garantita da strutture statali fatiscenti e oppressive; è, semmai, la risultante possibile dell’interazione rischiosa di libertà personale e di soggetti dotati di autorità intellettuale e morale, diffusi in tutta la società. Autorità: uno che sa dare delle ragioni e perciò sa far crescere il sapere, la libertà, la responsabilità. Come a dire: la Personalising Education non è questione di tecniche educative, ma di culture.