Le riflessioni che emergono dalle pagine di Pavel Florenskij, opportunamente richiamate e dibattute su queste pagine, sono cariche di contenuti e di provocazione, e vorrei notare alcuni altri aspetti oltre a quelli evidenziati da Giuseppe Bertagna e da Giorgio Bolondi.

1) La forma del libro di testo si consolida parallelamente all’istruzione nel senso attuale, all’incirca nel XIX secolo. In Italia si diffonde con la crescita della scuola statale centralistica (in molte case sarà, e spesso ancora è, l’unico libro). Testo e docente sono semplicemente i tramiti materiali che lo Stato-maestro impiega per realizzare e collegare i suoi due pilastri ideologici, il Programma ed il Titolo di studio. Ovvero, il foglio di lavorazione e la “targa di conformità” del cittadino-prodotto finito ed omologato.



Quando iniziavo a studiare l’evoluzione dei materiali testuali per l’istruzione chimica, ero però rimasto sorpreso dalla grande elasticità mentale degli autori dei primi libri di testo “unificati”, che mettevano esplicitamente in guardia contro la pericolosità di una “cultura” data per decreto. Specialmente nelle materie scientifiche, poco propense all’irreggimentazione. Inutile dire che, progressivamente, tale autonomia di critica è andata perdendosi; è stato ampiamente mostrato come i libri di testo per la scuola superiore degli ultimi decenni siano impostati alla ripetizione acritica di quanto stava scritto nei libri precedenti, un po’ come nel gioco del “passa parola”, in cui il contenuto di informazione non può arricchirsi ma si degrada ad ogni passaggio, con scarse possibilità di risentire almeno il vecchio originale. Ed i nuovi programmi sono scritti sull’impronta di quei testi. Triste pensare che poveri maestri siamo diventati, se anziché ribellarci al Testo Sacro Ufficiale ci accontentiamo del testo-sciacquatura.



2) Fino alla scolarizzazione di massa molti libri avevano nel titolo la postilla “… per l’autodidatta”. Non di rado erano testi egregi, che si rivolgevano ad un pubblico consapevole dei propri limiti e desideroso di superarli, in cui l’autore doveva assumersi il duplice ruolo: di scrittore, e di maestro per chi non aveva la possibilità di incontrare un maestro di carne. Mettere oggi quella postilla nel titolo di un libro equivarrebbe ad un suicidio editoriale, e non so se ciò possa dipendere di più dalla mancanza di umiltà e di desiderio di apprendere da parte del potenziale acquirente-allievo, o dalla difficoltà di trovare un atteggiamento analogo anche nell’autore-maestro.



Comunque l’Homo supponens del 2010 pensa di aver già pagato a sufficienza il suo tributo al sistema scolastico restando chiuso troppo a lungo in un’aula, per riconoscersi ancora bisognoso di un’istruzione metodica ed impegnativa. Per cucirsi i vestiti non usa né la Singer né la lisca di pesce: anzi, se i jeans sono già stracciati li paga di più, così risparmia la fatica.

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3) Florenskij parlava delle sue lezioni, delle sue parole che metteva in stampa. Verba volant, scripta manent in origine significava che fin quando le parole restano chiuse nei libri non si diffondono, e solo attraverso la voce di chi le annuncia possono volare: ma la sola voce non può arrivare ovunque. Le lezioni così diventano dispense. Anche qui si potrebbe riflettere sulla valenza del dispensare come un distribuirsi il pane fra pari, o un elargire dall’alto tutto e solo ciò che si ritiene di concedere (ci sarebbe il terzo, quello di esentare: se hai delle buone dispense sei esentato dal venire in aula, ma transeat).

Credo vi sia ancora molto da scrivere sul rapporto fra il libro di testo, completo e raffermo, e la dispensa, frammentaria ma fresca di giornata, nel momento in cui il web si configura come un dispensatore automatico apparentemente illimitato (ma né casuale né imparziale). Ancora di più richiede la presenza di un maestro di dispensa, che sappia scegliere e distribuire secondo le necessità ed opportunità di ognuno. Ma proprio per questo, nelle mani di un maestro attento, il web può sostituire l’illusoria e rassicurante completezza del libro-gabbia sporgendo l’allievo verso gli spazi illimitati, con tutti i rischi della libertà.

 

4) Florenskij richiede al buon libro di testo l’essenzialità, l’asciuttezza. Poveri quei tomi portati a spasso dai rappresentanti, in cui è sovrano proprio l’inessenziale: figurine, esercizi, aneddoti. Quel che sarebbe dovere, e piacere, di questo maestro poter scegliere ed adattare per questo allievo. Come il profumo pesantemente aggiunto ad un detersivo, che il più delle volte è il fattore che orienta all’acquisto e ne decide il prezzo, anche se in tutti i flaconi c’è soprattutto acqua. E chi vorrebbe un detersivo con solo il minimo di profumo, ma che in compenso lavi bene, di scelta ne ha poca.