«Quella natura che spinge a desiderare cose grandi è il cuore». È una frase che evoca il dualismo tra ragione e sentimento impersonato da questi due organi del corpo umano: cuore e cervello. Un dualismo che tiene in affanno il pensiero umano dalla notte dei tempi. Sono le oscillazioni eccessive della bilancia da una parte o dall’altra che producono disequilibri nocivi per l’equilibrio sociale. Tra le manifestazioni meno lontane di questo dualismo ricordiamo il conflitto tra illuminismo e romanticismo. Il primo poneva la ragione, il cervello, l’intelletto scientifico al centro di ogni possibile processo di redenzione sociale e morale dell’umanità. La reazione romantica, con Chateubriand, si scagliava con violenza contro «l’albero della scienza che produce la morte, dissecca il cuore, disincanta la natura e conduce le menti deboli all’ateismo», che «suddivide l’anima in gradi e in minuti e riduce tutto l’universo, Dio compreso, a una semplice sottrazione dal nulla».
Gli illuministi replicavano, con Ginguené, chiedendo amaramente: «Se il cuore ha degli abissi in cui non osate gettare la sonda, come li conoscerete?… E tutto questo disgraziato mondo dovrà forse ridursi a poesia? Una generazione di umani che potevano diventare esseri razionali dovrà tornare a nutrirsi di visioni, affinché altri sognatori del nulla si dilettino di queste visioni?». Ma era Napoleone stesso a scendere nella mischia per condannare le «tenebrose metafisiche che, ricercando con sottigliezza le cause prime, vogliono fondare su di esse la legislazione dei popoli, invece di far dipendere queste leggi dalla conoscenza del cuore umano e dalle lezioni della storia. La storia dipinge il cuore umano, è nella storia che occorre cercare i vantaggi e gli inconvenienti delle diverse legislazioni».
Oggi nel conflitto tra i due poli – ragione e sentimento, cervello e cuore – ancora una volta un conflitto che non riesce a sanarsi in un’armoniosa ed equilibrata composizione, torna di nuovo a prevalere il primo termine. Tutto è ormai visto come cervello: ogni processo mentale è processo cerebrale, danza di neuroni. Il conflitto che abbiamo sopra ricordato sottendeva un conflitto tra materialismo illuminista e spiritualismo romantico. Oggi è il prevalere di un’ideologia materialista a ridurre ogni aspetto del pensiero e delle attività mentali e spirituali umane a processi cerebrali. Oggi il protagonista indiscusso è il cervello, la mente razionale, l’intelletto, la razionalità scientifica.
Persino il tentativo di far tornare in patria gli scienziati emigrati all’estero è chiamato “rientro dei cervelli” e non “rientro delle menti”… Si sfida l’immagine ridicola di una processione di flaconi di organi in soluzione alcoolica pur di non parlare di qualcosa di immateriale come la “mente”. Il cuore non ha più alcun ruolo, salvo quello di mero organo della fisiologia umana. Difatti, è compito del pensiero razionale dissolvere le manifestazioni poetiche e artistiche e persino quelle religiose in processi materiali. Non vi è chi ha “dimostrato” di recente che il sentimento della trascendenza non è altro che il frutto di una particolare conformazione neuronale di taluni individui? Ovviamente, la densità di presenza di individui con questa caratteristica fisica nel Meeting di Rimini è altissima…
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Per questo, il motto del Meeting evoca in me la necessità di un riequilibrio a favore del bistrattato cuore, dei suoi diritti, del sentimento, dell’intuizione, della spiritualità, che pure sono forme di ragione, in quanto essa non si riduce a mera razionalità di tipo scientifico. Forse è una mia personale interpretazione, ma non riesco a cogliere il senso di questo motto altro che in questa direzione e trovo particolarmente importante il richiamo all’idea che non basta la ragione ristretta del positivismo a condurci verso azioni veramente grandi e significative: ci vuole una visione più larga della ragione, che comprende una spinta che viene dal profondo della nostra anima e rappresenta quel che ci fa toccare, come uomini, la soglia della trascendenza.
C’è una dimensione fondamentale di questa spinta che può condurci a cose grandi, ed è la dimensione del rapporto interpersonale, del rapporto tra “me” e “l’altro”, così profondamente esplorato da Lévinas. Non è una cosa straordinariamente grande che, per un’intuizione del cuore, si possa incontrare un’altra persona, e con questa persona istituire un rapporto profondo, talora di amicizia, oppure anche un matrimonio da cui nascono dei figli? Non è soltanto una cosa grande. È un autentico miracolo, uno degli innumerevoli miracoli che disseminano la nostra vita quotidiana e che un eccesso di razionalismo positivo ci induce a considerare come eventi comuni al pari dell’acquisto di un giornale. L’incontro tra persone è l’occasione di eventi straordinariamente grandi. È l’occasione in cui, nello slancio reciproco, nel guardarsi negli occhi e capirsi, si stabilisce un terreno di intesa su cui poi la ragione può costruire poderosi edifici, mattone su mattone. Ma è necessario quell’incontro iniziale generoso e disinteressato, guidato soltanto dal cuore. Di tutto ciò dicono mille volte di più la tradizione filosofica, la letteratura, il romanzo, le riflessioni dei moralisti che non qualche balbettamento sui neuroni a specchio.
Ma non è di questo che voglio parlare, bensì di una delle manifestazioni più importanti dell’incontro tra persone: e cioè il processo educativo. I frequentatori del Meeting di Rimini conoscono bene l’importanza di questo processo, perché questo tema – sintetizzato nella nota formula del “rischio educativo” – è al centro del pensiero di don Giussani. A me il pensiero di don Giussani è sempre apparso come convincente e consonante con quel che penso, e in particolare, con le riflessioni di Hannah Arendt che considero un punto di riferimento. Per don Giussani, come per Hannah Arendt, l’educazione è in primo luogo un incontro tra persone in cui viene trasfusa al giovane una tradizione, un’immagine della società e della sua cultura, affinché egli acquisisca gli strumenti per agire liberamente. Perciò è un incontro tra un maestro e un allievo. La scuola non è autoformazione: come dice don Giussani, senza elevarci sulle spalle dei nostri predecessori non potremmo fare un solo passo. Il maestro non è un mero “facilitatore” o “animatore” come pretendono taluni oggi, bensì un rappresentante della società e delle sue tradizioni che si presenta come tale, con tutta l’autorità culturale e morale che ne deriva. In quanto “incontro” tra persone l’educazione è, in primo luogo, uno slancio del cuore.
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Da qualche decennio però l’educazione viene sempre più concepita come un processo “scientifico”, come qualcosa che, per essere “efficiente” deve essere ridotto a una sorta di meccanismo automatico e razionalmente regolato, al di fuori di ogni “sbandamento” provocato dall’intervento della soggettività. Deve essere un processo totalmente oggettivo e questo si dovrebbe ottenere riducendo il maestro a un mero esecutore dei precetti scientifici-oggettivi prescritti dagli scienziati dell’educazione.
Questa è la morte dell’educazione e, in prospettiva, è la distruzione della coesione sociale. Le colpe di certo pedagogismo ispirato a precetti di stampo positivistico, nell’aver favorito tale indirizzo, è indubbio. Ma oggi si avanzano dei paladini ancor più dannosi: sono coloro che pretendono di far trionfare questa visione applicando all’istruzione certe tecniche manageriali che stanno fallendo miseramente persino in quel mondo dell’impresa, per cui sono nate. Sono persone che non sanno nulla di istruzione ed educazione, che non hanno mai vissuto realmente il processo educativo, e che propongono ricette che sembravano buone per gestire efficacemente una fabbrica di automobili, e non risultano efficaci neppure in quel caso. Figuriamoci quando è in gioco l’educazione!…
Ebbene, non voglio farla lunga. Se penso al motto del Meeting ed alla sua declinazione nell’ambito educativo, penso che esso abbia la grande efficacia di ricordare che il processo educativo è un rapporto tra persone, un rapporto il cui nucleo è qualcosa che non può essere ridotto a conteggi e misurazioni fallaci: è, in primo luogo, uno slancio del cuore. Solo con l’innesco costituito da questo slancio, dal rinnovarsi quotidiano del suo miracolo, l’educazione può divenire qualcosa di grande.