Nella scuola l’interpretazione delle norme di legge avviene a partire da una  professionalità docente  intesa come “il far lezione”, con il confezionare le conoscenze disciplinari in modo da renderle gradite e assimilabili. L’assunzione di un tale il punto di vista ha condotto al fraintendimento della volontà del legislatore: non a caso l’istituzione è stata denominata sistema educativo d’istruzione e di formazione, non è casuale che ai singoli istituti scolastici sia stata data autonomia, autonomia che “si sostanzia nella progettazione e realizzazione d’interventi di educazione, di formazione e d’istruzione”.



È di capitale importanza  trovare una terminologia comune e chiedersi: cosa esprimono e quale rapporto esiste tra le tre funzioni citate che rappresentano i caratteri fondanti la vita e l’attività delle scuole?

La formazione attiene al rapporto scuola-società, ha l’obiettivo di sviluppare le qualità personali dello studente e di dotarlo di comportamenti efficaci, tali da consentirgli di interagire positivamente con l’ambiente socio-culturale del mondo contemporaneo che, come noto, è dinamico e complesso.



L’educazione riguarda la progettazione e la conseguente realizzazione di processi d’apprendimento finalizzati a promuovere e consolidare le qualità necessarie all’esercizio delle competenze generali individuate nella fase di progettazione formativa. A tal fine la scuola, tutta insieme, deve operare per concepire, sviluppare, applicare e controllare adeguati piani educativi.

Formazione e educazione hanno natura strategica mentre quella dell’istruzione è operativa; essa trova la sua significatività negli obiettivi formativi e negli obiettivi educativi deliberati dagli organismi collegiali.



La disattenzione riservata alla differenziazione di queste tre responsabilità della scuola è una delle cause del fallimento dei decreti delegati del ’74 che hanno prefigurato un modello organizzativo che gli istituti avrebbero dovuto sviluppare per onorare il mandato loro conferito: il consiglio d’istituto “elabora e adotta gli indirizzi generali” per riconoscere, studiare e risolvere il problema formativo con l’elencazione delle competenze generali; il collegio dei docenti “programma l’azione educativa” e “valuta l’efficacia dell’azione didattica in rapporto agli obiettivi programmati”, adempimenti sistematicamente elusi per l’incapacità di cambiare punto di vista e di concepire la scuola come sistema: la parcellizzazione del servizio non trova più alcuna giustificazione nella legge, nella razionalità e nella cultura contemporanea.

Va superata la concezione della scuola come somministratrice di ciascun sapere disciplinare, nell’intangibile autonomia dei singoli insegnamenti: il lavoro dei docenti sarà valorizzato solo se è “espressione di libertà progettuale, coerente con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio”.

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La seconda questione riguarda l’orientamento del sistema scuola: la specificazione delle sue finalità. La legge 53/2003 prefigura due itinerari: il primo riguarda i processi d’apprendimento, mentre il secondo, indirizzato verso la spiritualità e la moralità, attiene alla comunicazione non verbale e richiede ai docenti d’essere autorevoli, credibili, coinvolti, disponibili all’ascolto e all’accettazione dell’altro, capaci di mettersi in discussione e d’entusiasmarsi …

 

In questo scritto ci si interesserà del primo aspetto, regolato dalla norma che stabilisce: il sistema scolastico deve “assicurare a tutti lo sviluppo di capacità e di competenze, attraverso conoscenze e abilità .. coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.

La disposizione è un raffinamento, un chiarimento della natura e del contenuto delle tre responsabilità della scuola. La sua formulazione generale deve essere approfondita per specificarne l’oggetto.

La scuola deve essere un’organizzazione in cui lo studente e le sue potenzialità sono cardine e traguardo, un’organizzazione che concepisca l’istruzione come messa a punto e gestione di significative occasioni di apprendimento che utilizzano conoscenze e abilità come spazi operativi, come strumenti di lavoro. A tal fine bisogna attribuire un significato preciso alle parole “capacità” e “competenza”.

 

Si consideri la prima. L’elenco delle capacità che lo studente deve maturare costituisce la road map per la programmazione d’istituto: capacità di scegliere e di prendere decisioni, capacità di progettare, capacità di argomentare, capacità di costruire modelli, capacità organizzativa, capacità di comunicare. L’elenco delle capacità da sviluppare nello studente deve essere condiviso da tutte le componenti scolastiche.

Non è consigliabile affrontare tale puntualizzazione come se si trattasse di un dizionario: la costituzione di esaurienti relazioni biunivoche lemma-significato potrebbe essere impossibile. Due esperienze esterne alla scuola possono facilitare la comprensione. 1. Alla presentazione di test volti a misurare il quoziente d’intelligenza è stato chiesto agli esperti che avevano ideato i questionari: “Cos’è l’intelligenza?” “L’intelligenza è quella qualità che i nostri test misurano”, è stata la risposta; 2. nelle aule giudiziarie la valutazione della capacità di intendere si fonda su batterie di prove che consentono di rilevare, discriminare e classificare comportamenti.

 

Anche per il caso in esame è opportuno privilegiare la pragmatica rispetto all’esaustività: le capacità saranno descritte facendo riferimento alle modalità del loro manifestarsi, evitando i meandri di problematiche antropologiche. Si prenda ad esempio la capacità “costruire modelli” per individuare i descrittori delle fasi del suo evolvere: assumere un punto di vista mirato al problema da risolvere; selezionare i dati disponibili/reperire quelli necessari; sintetizzare organicamente dati e relazioni; validare il prodotto confrontando obiettivi..risultati.

 

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Si conviene di chiamare abilità una delle fasi ora elencate, non ulteriormente scomponibili; si chiama invece capacità l’insieme ordinato delle fasi. Ne discende: le capacità sono dei processi che evolvono passando da uno stato allo stato successivo, mentre le abilità rappresentano operazioni elementari, sottordinate alla classe delle capacità.  

Si ricorda che in geometria prima si identifica una figura, poi la si definisce utilizzando un procedimento riduzionistico: il cilindro si ottiene ruotando un rettangolo, che è un quadrilatero, formato da segmenti, i quali derivano dal punto che, essendo una primitiva, conclude la scomposizione. Si tratta di un procedimento che, come è avvenuto per le capacità, muove dal tutto verso le parti.

 

Si prenda ora in considerazione la parola “competenza” che è la manifestazione delle capacità e delle abilità, visibili e osservabili nel momento in cui si affrontano specifiche, concrete situazioni. Competenza è termine non primitivo, è scomponibile negli enti primitivi capacità/abilità e nel contesto operativo [conoscenze…]. Nella scuola le competenze si manifestano nei comportamenti esibiti dagli studenti che affrontano un compito.

 

L’impatto formativo/educativo delle competenze è funzione del loro contenuto. Divergenti gli esiti delle azioni che mirano a sollecitare capacità da quelle che mirano a indurre abilità. Le prime valorizzano lo studente e le sue qualità, come la competenza generale: “è in grado di presentare una sintesi rigorosa di una situazione, interpretata da uno specifico punto di vista”, che rende visibile la capacità “costruire modelli”. Le seconde, che presuppongono abilità, sono competenze specifiche e hanno come riferimento ambiti chiusi e circoscritti come, ad esempio: “Riconoscere sostanze acide e basiche tramite indicatori” che mostra il possesso dell’abilità di riconoscere. [Cfr. indicazioni, nuovi programmi Ist. Tecn.- scienze integrate].

 

Un sistema scolastico in grado di sviluppare le desiderate competenze generali implica l’unitarietà sinergica di tutti gli insegnamenti. La categoria “capacità” non appare tra gli obiettivi dell’apprendimento dei recenti documenti di riordino della scuola, appiattiti sulle sole abilità. Un’assenza molto significativa.

 

Si consideri ora la funzione “istruzione”. Il sistema scolastico è finalizzato allo sviluppo di capacità e competenze, assi portanti dei processi d’apprendimento: apprendere e imparare non sono affatto sinonimi, designano piuttosto concezioni contrapposte. E sono forme verbali che conducono a modelli di scuola profondamente diversi. Il primo ha come fondamento lo studente e le sue qualità, il secondo, tipico delle culture statiche, è orientato alla trasmissione delle conoscenze disciplinari.

 

Può essere opportuno ricordare che la dinamica degli insuccessi scolastici registra il picco quando, negli ultimi due anni della scuola primaria, inizia l’introduzione sistematica dello studio delle nozioni trasmesse dai libri di testo. Questa considerazione riapre la questione inizialmente posta: le ordinarie lezioni cattedratiche, oltre a non essere efficaci rispetto ai traguardi istituzionali, possono ostacolare la promozione e il potenziamento di competenze.

 

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Le competenze non possono essere insegnate, si acquisiscono praticandole. I nuovi regolamenti di riordino ribadiscono tale principio. Per i licei, ad esempio, fissano “alcuni punti fondamentali e imprescindibili” a cui i docenti dovranno attenersi: lo studio delle discipline in una prospettiva sistemica, storica e critica; la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari.

I documenti di riforma, inoltre, indicano la via per la transizione dalla scuola delle conoscenze a quella delle competenze: orientano gli insegnamenti a “l’uso costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche”.

 

Le implicazioni di tale assunto, che orienta i lavoro dei lavoratori della scuola verso la didattica della ricerca, si riflettono sul concetto di disciplina che si dilata inglobando sia i problemi che hanno caratterizzato la sua evoluzione, sia i metodi utilizzati per la ricerca delle relative soluzioni. Facendo tesoro dell’ammonimento di Albert Einstein “le conoscenze sono cosa morta, la scuola invece serve per vivere”, si può proporre la seguente immagine: “Come i gabbiani lasciano le loro orme sulla sabbia così le discipline imprimono le loro tracce sulla carta”.

 

La nuova situazione ridisegna le responsabilità dei docenti: elaborare e perseguire gli obiettivi formativi e gli obiettivi educativi e, al contempo, trasmettere una fedele immagine delle discipline, che ne esalti la vitalità; risultato che può essere conquistato sfruttando la sovrapponibilità del metodo disciplinare col metodo didattico, coincidenza su cui si fonda l’attività laboratoriale.

 

La progettualità diventa l’essenza della funzione docente. Essa non è più strutturata sui saperi, ma è proiettata verso la valorizzazione delle potenzialità dei giovani. L’attività di classe risulta essere il banco di prova delle congetture fatte nella fase ideativa: gli studenti hanno manifestato i comportamenti e sono giunti alle conclusioni a cui le proposte di lavoro erano finalizzate? Alcune esemplificazioni sono visibili su matematicamente.it, nella sezione didattica.

 

Corollario finale: il concetto di competenza è stato introdotto nel nostro ordinamento da cinquant’anni. In tutto questo tempo non ha mai inciso sul modo di concepire il servizio scolastico e non ne ha modificato l’orientamento. L’interesse che in questi tempi è riservato alla definizione dei traguardi della scuola in termini comportamentali deriva esclusivamente dalle sollecitazioni europee, tese a garantire la mobilità della mano d’opera e l’equiparazione dei titoli di studio. 

La formazione, l’educazione e l’istruzione sono relegate sullo sfondo, non illuminate, quasi fossero comparse.