Intervenendo nel dibattito aperto opportunamente sui Progetti sperimentali di valorizzazione del merito avviata dal ministro Gelmini, cercherò di focalizzare la “logica” che, a nostro avviso, dovrebbe esservi sottesa. Tuttavia, una valutazione finanziaria è d’obbligo per capire le concrete possibilità d’attuazione, a regime, del Progetto. Com’è noto, dei consistenti tagli all’istruzione previsti dalla Finanziaria 2009, il 30% dei risparmi (circa 2,4 miliardi di euro) erano destinati a sostenere il “merito”. Maria Stella Gelmini, infatti, era appena approdata al ministero dell’Istruzione e aveva esordito con la presentazione di un suo ddl sulla meritocrazia, persosi poi nei meandri del Parlamento.
In seguito, anche dietro pressione dei sindacati, il ministro ha deciso di utilizzare gran parte di quei fondi per ripristinare gli scatti d’anzianità agli insegnanti, bloccati dalla legge 122/2010, cui Tremonti ha aderito con la controfirma dell’atteso decreto, pochi giorni fa. Una decisione doverosa: gli insegnanti sono gli unici professionisti nel pubblico impiego ai quali è precluso ogni sviluppo di carriera. Togliendo anche l’anzianità, si sarebbero trovati in una situazione d’assoluta immobilità: nessun avanzamento nella carriera, abbinato per giunta al blocco degli stipendi.
Chi, come noi, si è adoperato quasi per statuto per il riconoscimento meritocratico della professionalità degli insegnanti è rimasto nuovamente deluso: avevamo ragionevolmente creduto che con quel 30% si potesse finalmente avviare il percorso di quel ddl sul nuovo Stato giuridico degli insegnanti che, in linea con il programma elettorale del centro-destra dal 2000, era stato per l’ennesima volta ripresentato in Parlamento nel maggio 2008, primo firmatario l’on. Valentina Aprea. Purtroppo, il ministro Gelmini, come in precedenza la Moratti, non l’ha sostenuto facendo così inevitabilmente il gioco dei sindacati, notoriamente contrari ad un’iniziativa parlamentare e non contrattuale in questo settore.
Da sempre siamo convinti che la via sindacale alla “questione docente”, oltre a non essere corretta sul piano giuridico, ha sempre portato alla conservazione dell’esistente, privando gli insegnanti di quel nuovo inquadramento professionale basato su un virtuoso intreccio tra merito e funzione, che può essere garantito solo dalla costruzione sistematica di uno sviluppo di carriera, come avviene in tutte le professioni.
Alla fine, nel minuetto tra Tremonti che toglie e Gelmini che restituisce, per il merito è rimasto un topolino finanziario di 31 milioni di euro, sufficiente per una minisperimentazione che coinvolgerà, anche se recentemente ampliato dopo i massicci rifiuti dei Collegi, un numero esiguo di scuole.
Questa Sperimentazione ha suscitato una serie di commenti spesso tanto entusiastici quanto incongrui. Quelli dei sindacati che si sono ipocritamente dichiarati favorevoli alla riparazione del vulnus inferto agli insegnanti con la soppressione degli scatti d’anzianità proprio nell’anno in cui andava in vigore la Riforma, salvo poi porre pesanti condizioni alla realizzazione del progetto, alimentando il malcontento nelle scuole.
Deludente per l’assenza di memoria storica, è stato il comunicato ministeriale che ha parlato di giorno storico per la scuola italiana. A chi afferma che è la prima volta che si sperimenta una procedura prima di adottarla in un provvedimento generale, va ricordato che, anche in Italia, in quest’ambito non siamo all’anno zero. Su La valutazione della qualità delle prestazioni professionali del personale scolastico il ministro Berlinguer istituì, infatti, nel 1998 un Osservatorio (D.M. del 7.10.98), di cui chi scrive faceva parte. Peccato che poi si sia fatto suggerire dai sindacati la nota soluzione del quizzone, con gli esiti che conosciamo.
Per quanto riguarda il metodo, vorremmo ricordare le conclusioni del Seminario internazionale organizzato da Treellle nel 2008 a Roma, sui Sistemi europei di valutazione della scuola a confronto, che spesso non sono in linea con le indicazioni del Comitato di esperti istituito dal Ministero di cui Treellle fa parte.
In quel seminario sono emerse indicazioni significative, come già riportato da Giovanni Cominelli in un precedente articolo, nei paesi Ue la valutazione degli istituti e dei docenti è esterna e avviene tramite un servizio ispettivo. In UK è l’Ofsted; in Francia ben tremila sono gli ispettori che si dedicano a tale compito; in Spagna c’è un livello centrale ed uno locale di valutazione affidato alle Regioni, ma pur sempre esterno.
Il progetto di valutazione italiano è basato, invece, su una logica opposta. Ci associamo a quanti hanno già evidenziato la contraddizione a cui si va incontro se nel nucleo di valutazione dei docenti sono presenti oltre al dirigente scolastico, due insegnanti eletti dal Collegio: i valutandi eleggono i loro valutatori.
Tuttavia, la conseguenza peggiore delle sperimentazioni è comunque sfuggita a molti: prevedibilmente per tre anni, in attesa del loro esito, sarà preclusa ogni altra via atta a risolvere la questione vera, quella della nuova organizzazione del lavoro degli insegnanti. Una necessità, occorre ribadirlo, prima di tutto di tipo funzionale: qualsiasi persona che opera nella scuola, dirigente o docente che sia, sa benissimo che per gestire le nuove complessità previste dall’autonomia e dalla stessa riforma occorrono nuove figure professionali, con una preparazione specifica, che corrispondono a nuovi ruoli e responsabilità.
Funzionamento delle scuole e carriera degli insegnanti vanno quindi di pari passo. Ma non per chi deve decidere in questo campo, purtroppo.
Alcune considerazioni quindi sono d’obbligo:
– carriera e valutazione sono assolutamente complementari.
– Nella valutazione è necessario investire seriamente in maniera congrua.
– La valutazione deve avere, inoltre, la caratteristica di realizzare un sistema non meramente premiante (a noi sinceramente non è mai piaciuto il termine “premio”, più adatto ad una categoria impiegatizia che a dei professionisti) ma un confronto nazionale, di sistema, tra gli istituti, basato su standard individuati, che sia d’aiuto e supporto alle scuole, per migliorarne l’efficacia.
Cercare di realizzare una dimensione “meritocratica di tipo funzionale” di sistema è la logica, quindi, con cui operare. Contemporaneamente si raggiungerà l’obiettivo di offrire una prospettiva di rivalutazione professionale in grado di rimotivare la categoria degli insegnanti fortemente in crisi: la carriera non sarà quindi un’opportunità per pochi ma una prospettiva professionale aperta a tutti. Ognuno avrà la possibilità di accedervi nel corso della propria vita lavorativa perchè ciò è funzionalmente utile alle scuole, realizzando così anche una rilevante funzione di traino sul piano della crescita della qualità professionale: perchè non potranno essere che insegnanti di grande qualità disciplinare, culturale e didattica, quelli in grado di guidare gli altri docenti nella progettazione di un percorso didattico efficace, e di facilitare la dimensione collegiale, essenziale in un’organizzazione autonoma. Nell’esperienza dei nostri partners europei, infatti, merito equivale a fascia differenziata di stipendio legata allo svolgimento di funzioni più complesse rispetto a quelle standard.
Accanto al profilo professionale standard dell’insegnante, deve esserne disegnato uno ex-novo, portando a compimento quanto la legge 59/97, istitutiva dell’autonomia scolastica prevedeva (art. art.21, c.16) e che fino ad oggi è rimasto disatteso. Attraverso la diversificazione dei compiti e la costruzione di una carriera, anche il “merito” troverà automaticamente una soluzione condivisa all’interno del mondo scolastico, senza rientrare nella logica meramente premiante del Concorsone di Berlinguer. In quest’ottica si muove il ddl 953.
Un’ultima non meno importante considerazione a corollario del ritardo sulla “questione docente”: il contratto degli insegnanti è l’unico nel pubblico impiego che non prevede un’area specifica. È definito, infatti, insieme a quello degli amministrativi e degli esecutivi della scuola. Per impedire agli insegnanti di avere un’area contrattuale specifica, i sindacati confondono il piano della più efficiente individuazione delle specificità professionali con quello della presunta solidarietà interprofessionale: come a dire che quello che fa della scuola una comunità, un corpo unico è un contratto unico! Su quest’incresciosa questione anche i politici (non) hanno, tuttavia, fatto la loro parte.
Una citazione: “…anche alla luce della riforma della dirigenza scolastica, appare opportuno definire, tempestivamente, uno specifico ambito contrattuale per il personale docente ed una disciplina coerente con la piena attuazione dell’autonomia delle scuole”. Era la relazione programmatica del ministro Moratti alla Camera dei Deputati il 18 Luglio del 2001.
Su questo sì, siamo veramente ancora all’anno zero.