Il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti ha superato quasi indenne il giudizio della Corte dei Conti. È quanto si apprende dal sito internet di Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini, alla cui assidua e capace opera di negoziatore fa capo l’intricata materia. Le modifiche apportate dall’organo di controllo non toccherebbero la sostanza del pacchetto di norme riguardanti il percorso formativo e abilitante dei docenti.



Ad ogni modo può riprendere il lento cammino verso, si spera, il traguardo definitivo, un testo al destino del quale sono legate le sorti di ormai tre generazioni di studenti laureati in discipline attinenti l’insegnamento, ma privi dell’abilitazione necessaria per lavorare nella scuola, nonché le aspettative di tanti giovani che ancora guardano alla professione educativa come ad compito che unisce vocazione e responsabilità verso l’altro.



A questo punto se ne attende la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che dovrebbe preludere all’avvio, dall’anno accademico/scolastico 2011-2012, sia delle nuove lauree magistrali così come previste dal nuovo quadro, sia del tirocinio formativo attivo (TFA), che si profila come l’unica modalità di abilitazione percorribile sul territorio nazionale per quanto riguarda gli insegnamenti della secondaria di I e II grado.

Il conseguimento delle abilitazioni all’insegnamento all’estero (Paesi Ue e non) è infatti un’estrema misura possibile, ma di fatto disincentivata dal governo italiano, che, nel caso non vi sia corrispondenza tra titoli esteri e titoli italiani, rimanda ad una prova attitudinale o ad un tirocinio presso le istituzioni scolastiche, cioè in fondo ad un percorso simile a quello che dovrebbe essere intrapreso tra non molto tempo.



Posto che l’inserimento in Gazzetta avvenga in tempi ragionevoli e non più ulteriormente dilatati, è possibile, nella fase intermedia che si apre da ora alla partenza del nuovo sistema, riflettere non solo sui compiti che a breve attendono le scuole e le università, ma anche sul percorso che il regolamento dischiude in previsione di nuove forme di reclutamento dei docenti.

Sarà utile ricordare, allora, che per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sarà necessario un corso di laurea magistrale quinquennale abilitante all’insegnamento, a ciclo unico con prova d’accesso, comprensivo di tirocinio. Nel caso si intenda insegnare nella scuola secondaria di I e II grado, dopo la laurea triennale si dovranno affrontare distinti corsi di laurea magistrale biennale (con prova di accesso) ed un successivo anno di tirocinio formativo attivo (TFA).

 

Nella fase transitoria, cioè fino a che non diventeranno operativi i tirocini conclusivi del percorso di laurea magistrale, potranno accedere al TFA, a determinate condizioni, i laureati privi di abilitazione all’insegnamento ed anche coloro che stanno svolgendo attività di insegnamento, per i quali è previsto che le convenzioni per il tirocinio siano stipulate con le istituzioni scolastiche di riferimento. Per l’accesso al TFA sarà riconosciuto, sempre a determinate condizioni, anche il servizio d’insegnamento prestato.

 

La delineazione del nuovo percorso, specie dell’anno di tirocinio, è stato il banco di prova di un dialogo serrato, talvolta acceso, ma ultimamente proficuo, tra le esigenze dell’università, quelle della scuola e della professionalità docente, che non dovrebbe andare perduto. L’università non dovrà arroccarsi sulle proprie posizioni (il TFA non è una SSIS abbreviata, ma molto di più) e la scuola difendersi rispetto all’impressione di una nuova intrusione nella consolidata routine (in qualche modo sarà giudicata per il lavoro che fa e che offre).

 

Le 475 ore di tirocinio indiretto e diretto, pari a 19 crediti formativi, da svolgere presso le istituzioni scolastiche sotto la guida di un tutor, saranno un terreno sul quale costruire, al di là di facili protagonismi, la figura di un nuovo docente, competente e attento a recepire la domanda di significato e di orientamento che proviene dai giovani alunni.

 

Si stanno aprendo inoltre altri scenari sui quali è bene, già da ora, fissare lo sguardo con particolare attenzione. In particolare, si sta ristrutturando nei fatti il binomio un tempo inscindibile tra abilitazione e reclutamento. Abilitazione e reclutamento dei docenti sono due misure che possono essere collocate su un piano di successione non causale (non ha senso la prima se manca la seconda), purché siano pensate in un sistema di liberalizzazione degli accessi alla scuola pubblica.

 

Ad un tale assetto, che manca in senso compiuto, ci si può avvicinare facendo leva su alcuni presupposti normativi che possono essere: per prima cosa, l’autonomia degli istituti scolastici (si tratta di autonomia funzionale) che investe la didattica e l’organizzazione ed è sancita dal titolo V della Costituzione; in secondo luogo, l’esistenza, quantomeno dal punto di vista della definizione formale, di un “sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, comma 2 della Costituzione, costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali” (Legge Berlinguer n. 62/2000); in terzo luogo, il superamento della modalità di assunzione dei docenti (50% dei posti annualmente assegnabili) tramite il sistema delle graduatorie permanenti di cui è in atto il lento svuotamento, posto che la stabilizzazione ope legis dei docenti precari è stata opportunamente esclusa dall’attuale governo della politica scolastica.

Verrà un giorno (per citare Fra Cristoforo) in cui svuotate le graduatorie (in alcune regioni sta già accadendo per alcune classi di concorso) e assorbito in qualche modo il precariato storico si accederà al posto di insegnamento mediante forme di reclutamento e di assunzione differenziate sulla base del tipo di gestione dell’istituto che chiama.

 

A questo punto sarà necessario far valere, da parte del docente, il proprio portfolio o curriculum vitae, compreso il titolo abilitante e, da parte di chi assume, sia esso il sistema statale o regionale o paritario, il piano dell’offerta formativa per il quale si chiede di svolgere un determinato compito.

 

Tenuto conto di questo insieme di particolari, dove istanze significative si affacciano e le lentezze burocratiche sempre incombono, si può pensare anche di aprire per i docenti una nuova fase concorsuale (potrebbe servire ad alleggerire le graduatorie permanenti) che, poste le forme tradizionali di selezione, apra in misura significativa anche a forme di chiamata diretta da parte delle scuole nella distribuzione del personale sui posti liberi.

 

Sarebbe consigliabile tuttavia che questa eventualità non si sovrapponesse, rendendolo vano, all’avvio del nuovo percorso abilitante che interesserà appunto laureati privi del titolo utile ad esercitare la docenza, visto che presenta tutte le caratteristiche di un “concorso abilitante”; in alternativa, si potrebbe configurare una sorta di “doppio binario” che contemperi sia le esigenze di stabilizzazione dei vecchi abilitati, sia quelle dei prossimi nuovi abilitati in uscita dalla nuova e diversa formazione del TFA. Il frutto del lavoro di questi ultimi tempi è che il TFA si profila come unico dispositivo abilitante, proprio per il suo spessore esperienziale oltre che disciplinare.

 

In questa ottica sarà possibile muoversi con flessibilità e avvertenza di tutti i fattori in gioco nella scuola e con attenzione a chi vuole accingersi ad entrarvi carico di una motivazione che non deve essere delusa.

Leggi anche

SCUOLA/ Formazione docenti, il Regolamento passerà l’esame dei decreti?SCUOLA/ 3 condizioni per insegnare in libertàSCUOLA/ E ora quale sarà il meccanismo di chiamata dei docenti?