How to raise boys who read. Così titola un recente e interessante articolo del Wall Street Journal. La questione è di quelle grosse e sembra davvero universale: come far leggere i ragazzi, in particolare i maschi. Se la questione è grossa la soluzione più spesso perseguita è grossier per dirla alla francese; si parla infatti dei gross-out books. L’articolo americano sottolinea come in effetti gli scaffali si siano riempiti di libri che gli editori hanno creduto poter interessare ai ragazzi per il solo fatto di essere pieni di riferimenti a parti del corpo così come alle sue funzioni più elementari. Tra mutande e loro capitani e gas vari pare che un libro per attrarre i giovani uomini debba essere per forza lutulento e grossolano. In alternativa si pensano (e si vendono) quei libri che non chiedono di essere letti, libri-oggetto solamente da possedere, accattivanti nelle copertine e nei titoli, indipendentemente dal loro contenuto. Libri seriali da collezione.
Col crescere dell’età sembra che debbano poi necessariamente farsi strada argomenti più pruriginosi con una malizia più o meno dichiarata a soddisfare curiosità sempre più difficili da appagare. Il linguaggio diventa slang, si impoverisce e si fa triviale.
L’esito è sotto gli occhi di tutti: i giovani leggono poco e chi legge è per lo più femmina.
La questione mi interpella particolarmente come scrittore, soprattutto per ragazzi. La prima domanda che infatti mi pongo quando una bella storia mi incontra e mi chiede di essere raccontata è: per chi la scrivo? Non si tratta solo di una questione tecnica: il formato del libro, il numero delle battute, la presenza di illustrazioni. No, si tratta di pensare lingua, contenuto e forma per chi volterà le pagine.
Ogni volta che scriviamo un libro per i giovani, ma anche ogni volta che lo scegliamo magari per regalarlo o solo per proporlo, non dobbiamo mai sottostimare, anzi disistimare il pensiero dei ragazzi. Non dobbiamo fare innanzitutto noi l’errore di abbassare il tiro, di vederli come un branco di brufolosi preda degli ormoni e di presunti istinti proponendo stereotipi più o meno moderni.
Scrivere per loro, soprattutto scrivere qualcosa che possa piacere e interessarli, significa saper cogliere i desideri e le domande di cui sono portatori e rappresentarle all’interno di una storia credibile, non necessariamente verosimile.
Ciò che infatti permette la necessaria identificazione del lettore è ritrovare tratti di sé nei temporanei compagni di carta. Sarà vedere come riescono ad affrontare le situazioni e risolvere questioni personali che offrirà spunti di pensiero, farà sentire meno soli, proponendo possibili soluzioni che altrimenti non verrebbero in mente.
Scrivere per ragazzi richiede innanzitutto stima per i loro desideri e le loro questioni individuali, senza tabù e pregiudizi, con leggerezza piuttosto, e sguardo innocente. Non credo esistano argomenti proibiti; si può parlare di tutto, ma con misura, curando il linguaggio e la forma. Occorre quindi avere l’accortezza di scrivere di dolore senza per questo addolorare, di male senza per questo ammalare, di tentazioni senza per questo indurre in tentazione, di scandali senza per questo scandalizzare. Eppur sempre mantenendo quel giusto livello di coinvolgimento necessario per una adeguata tensione narrativa. Il discrimine è sottile, la potenza della parola e l’intensità delle situazioni che creiamo sulla pagina hanno un effetto grandemente evocativo e suggestivo. Chi scrive deve sempre averlo presente per non incorrere nel rischio, volontario o inconscio, di suggerire ai più giovani strade inopportune in quanto diseconomiche per il soggetto.
È vero anche che d’altra parte il rischio pedagogico è sempre in agguato e che niente più di questo risulta capace di allontanare i ragazzi dalla narrativa. I ragazzi sanno distinguere una storia narrata con piacere e gusto da un’altra costruita a tavolino per un puro intento educativo; e da questa scappano a gambe levate.
Ha ancora senso scrivere libri per ragazzi? Come la mettiamo con la potente concorrenza dei videogiochi, dei mezzi multimediali, dell’interattività spinta? Credo che tutto ciò non rappresenti una scusante per cessare di scrivere e proporre libri, occorre piuttosto rientrare dalla logica di fare concessioni. In contenuto e stile. I ragazzi sanno ancora appassionarsi, commuoversi e meditare, ma devono incontrare testi degni della grandezza del loro pensiero, anche nella loro leggerezza. Ossia libri che non siano una zavorra, ma un entusiasmante fattore di rilancio dell’esperienza.