Mentre per le scuole statali il ministro Gelmini ha recentemente proposto di sperimentare in alcune città e province la valutazione delle scuole (sulla base del cosiddetto valore aggiunto di apprendimento) o – in altri luoghi – quella degli insegnanti (utilizzando il metodo della “buona reputazione professionale”), nelle scuole cattoliche è partita una piccola novità in materia di premi di merito, inserita nel nuovo contratto nazionale di settore, sottoscritto a dicembre 2010 dai gestori (Agidae) e dai sindacati (confederali e autonomi).



Si tratta di un segnale piccolo da punto di vista economico, ma di interessante valore simbolico. Sarà infatti riconosciuto agli insegnanti in servizio a tempo indeterminato un piccolo bonus annuale (da 150 a 220 euro lordi) sulla base di un punteggio attribuito in massima parte a fronte della continuità della presenza a scuola (1 punto per ogni settimana intera senza assenze), ma anche a seguito della partecipazione a corsi di aggiornamento organizzati dalla scuola (massimo 5 punti) o liberamente scelti dal docente (massimo 5 punti), nonché del coinvolgimento dei propri alunni in concorsi e gare da svolgersi fuori dell’orario di servizio (2 punti per ogni evento).



Infine, se si tratta di una scuola che ha acquisito la certificazione di qualità, sarà attribuito un ulteriore punteggio (10 punti) secondo la misura del rispetto degli standard previsti dal manuale.

Il bonus sarà riconosciuto a chi avrà raggiunto almeno 35 punti sommando le varie voci. E soprattutto gli insegnanti che conseguiranno il bonus per tre anni consecutivi se ne vedranno consolidato in busta paga per sempre il 70% della media dei tre anni.

Analizzando questa novità si possono fare alcune riflessioni. Anzitutto si può rilevare che anche il mondo della scuola cattolica, almeno per quanto riguarda i rappresentanti dei gestori e dei lavoratori, ha sentito la necessità di introdurre una differenziazione della retribuzione sulla base di un elemento diverso dalla tradizionale anzianità di servizio. Questa esigenza è sicuramente motivata dall’intenzione di incentivare un maggiore impegno e una maggiore qualità professionale, anche se la cifra in palio è limitata e i criteri scelti sono assai discutibili. Non è improbabile che si voglia anche – da parte dei gestori – invogliare gli insegnanti più anziani a non passare alle scuole statali, anche se di questi tempi di graduatorie bloccate ciò avviene molto più raramente che in passato.
 



Va detto subito che, essendo un incentivo che può essere acquisito anche da tutti gli insegnanti o comunque da molti di essi (e anche dai non docenti) è chiaro che i gestori delle scuole cattoliche dovranno prepararsi a erogare una discreta quantità di questi “premi”.

In cambio sembra essere richiesto anzitutto un chiaro segnale sulle assenze, che effettivamente sono un problema soprattutto per le scuole più piccole, che possono fare fatica per esempio a sostituire chi è in malattia per pochi giorni.

Lascia un po’ perplessi il fatto che la presenza a scuola senza interruzioni (che sicuramente è un pre-requisito, più che un requisito di qualità) sia il criterio principale per ottenere il premio, nel senso che se per conseguire il bonus è sufficiente raggiungere i 35 punti, basteranno 35 settimane di presenza a scuola per conquistarlo, senza bisogno né di frequentare corsi di aggiornamento né di partecipare a gare e concorsi esterni con i propri alunni. Infatti un anno scolastico comprende 52 settimane (dal 1° settembre al 31 agosto) e anche togliendo le ferie ordinarie (33 giorni), restano sempre un congruo numero di settimane spendibili. Il rischio è che il premio di produttività sia dato non agli insegnanti più bravi, ma a quelli che fanno meno assenze, dunque più sani o con figli meno cagionevoli di salute.

Certamente è un segnale positivo che, accanto alla presenza fisica a scuola, siano riconosciuti come elementi di merito la partecipazione a corsi di aggiornamento e il coinvolgimento dei propri studenti in gare e concorsi esterni. Un pericolo che si può intravvedere è che le scuole più povere si vedano costrette a ridurre ulteriormente i corsi di aggiornamento per non rischiare di dover dare troppi premi annuali. Ma speriamo che ciò non si verifichi.
 

Quello che sembra mancare è l’analisi delle vere caratteristiche distintive del buon insegnante (basta la presenza a scuola? Bastano l’aggiornamento e i concorsi? E il resto?), nonché la riflessione degli strumenti per rilevare il possesso di tali caratteristiche (per esempio, sulla base del gradimento degli alunni e dei genitori, nonché dell’apprezzamento dei colleghi e dei superiori). È vero che tale rilevazione è presumibilmente inclusa negli standard di qualità per gli istituti certificati, però questi standard incidono in misura ridotta nel punteggio annuale e poi quanti sono sul totale gli istituti certificati?

Soprattutto mentre si capisce che cosa questo nuovo sistema vuole incentivare (la presenza a scuola soprattutto e poi anche aggiornamento e concorsi studenteschi), non si capisce bene quale vantaggio potrà esserci per le scuole dal punto di vista del miglioramento delle attività didattiche ed educative, che continuerà a non essere valutato.

Ci si può tuttavia augurare che questa novità serva almeno ad aprire la discussione sulla valutazione degli insegnanti e sulle caratteristiche del buon insegnante, così da preparare la strada per ulteriori progressi al prossimo rinnovo contrattuale. Questo è quello che probabilmente hanno pensato sia i gestori, sia i sindacati quando hanno introdotto questa novità. Non è dato sapere che cosa ne pensino gli insegnanti delle scuole cattoliche, che non hanno una loro rappresentanza professionale a se stante. Sarà interessante sapere tra tre anni quanti insegnanti hanno ottenuto il bonus. Nel caso che – come è probabile – lo ottengano tutti o quasi tutti, quale sarà stato il passo avanti per le scuole cattoliche e soprattutto per i loro alunni?

(Stefano Pierantoni – dirigente di scuola cattolica)