Il sussidiario ha opportunamente posto l’attenzione sul tema della valutazione degli insegnanti, degli alunni e delle scuole autonome. Alcuni interventi, tutti molto autorevoli, hanno rilanciato dubbi e proposte, considerato pregi e difetti di esperienze estere e di sperimentazioni recentemente annunciate dal nostro Paese. Vi è a volte, per la verità, la sovrapposizione dei diversi livelli di valutazione, che alla fine del percorso valutativo certo si devono ricondurre a unità di giudizio, ma che sono “processualmente” distinti. Una cosa è valutare l’efficienza della scuola autonoma nel suo insieme, per il cui fine vanno bene le commissioni esterne variamente formate; altra cosa è la valutazione degli apprendimenti degli allievi, per la quale non si può prescindere dai test; infine, diverso ancora è valutare il lavoro degli insegnanti.
Su quest’ultimo punto, in particolare, le opinioni sono assai divergenti, ma tutte concordi nel ritenere indispensabile e indifferibile la messa a sistema di una valutazione dei docenti. Innegabile per tutti è la responsabilità di quelli che Ilvo Diamanti definì “mammut” e “dinosauri”, cioè la burocrazia ministeriale e la gerontocrazia sindacale le quali hanno senza dubbio sulla coscienza gran parte del merito dello stato assai pietoso della scuola italiana.
Sulla valutazione dei docenti voglio fare qualche osservazione, non da “esperto”, ma da uomo di scuola. Rilevo che in generale vi è una diffidenza diffusa nei confronti del ruolo che i dirigenti scolastici potrebbero assumere nella valutazione dei docenti. Nell’articolo, che il sussidiario ha ripreso da Il Giornale, Giorgio Israel scrive infatti: “È sconcertante l’idea che coloro che debbono essere valutati eleggano i loro valutatori. Ancor di più che a presiedere tale nucleo sia il dirigente scolastico. Non dubitiamo che la maggior parte dei presidi siano persone rigorose. Ma coloro che non lo sono, e certamente esistono, e che hanno la tendenza a creare cordate e «camarille» di docenti «amici», troveranno un’opportunità per favorirle e per penalizzare le «pecore nere» che potrebbero anche essere i docenti più validi. Senza contare che questa modalità di valutazione si incrocia con la tendenza a trasformare il preside in manager, che tende a promuovere in tutti i modi l’immagine della propria scuola, come un’azienda di biscotti promuove la qualità del proprio prodotto” (G. Israel, La scuola fa schifo. E se fosse ottima?).
Sconcertante? Perché? Conosco molto bene una coppia di allora giovani docenti che nel lontanissimo 1969 decisero di sposarsi durante le vacanze natalizie per non usufruire del congedo matrimoniale che li avrebbe tenuti lontani dall’aula quindici giorni. Sapevano infatti che la loro ottima preside non avrebbe assegnato loro la valutazione “ottimo” perché assenti per un periodo significativo dal servizio. Un criterio molto opinabile certo, ma tant’è. Infatti i presidi allora valutavano i docenti e le loro valutazioni avevano effetto sulla carriera. Andavano nelle aule ed assistevano alle lezioni. Rivedevano a campione le prove scritte. Osservavano i docenti nella loro attività collegiale durante gli scrutini. Sentivano le proteste, ma anche il plauso, dei genitori e degli allievi. Insomma raccoglievano una serie di indicatori che servivano a formulare un giudizio ragionato sull’operato dei docenti.
Oggi la scienza dell’organizzazione potrebbe per di più offrire loro un menù di criteri e tecniche di osservazione più raffinate e trasparenti. Poi questo sistema fu bruciato come incenso per alimentare la connivenza di mammut e dinosauri. Ma è prassi normale che i dirigenti valutino i loro collaboratori. Succede nella pubblica amministrazione e nel privato, nell’esercito e nella chiesa, negli ospedali e nei conventi. Perché i dirigenti scolastici no? Perché c’è qualche mela marcia? Se questo assunto fosse generalizzato non potremmo affidare l’ordine pubblico ai carabinieri, le indagini alla polizia, la sanità ai medici, la politica ai politici, l’insegnamento ai docenti, la giustizia ai giudici, la chiesa ai preti e via dicendo. Quale insieme di uomini e donne non ha singoli comportamenti devianti? Su questi e solo su questi potrebbe allora intervenire un sistema esterno di surroga e controllo, ma non sulla generalità delle centinaia di migliaia di operatori, docenti nel nostro caso.
Il dirigente scolastico, la cui evoluzione culturale va oggi nella direzione di una leadership per l’apprendimento più che verso una managerialità genericamente organizzativa è, tra l’altro, stato sottoposto nell’ultimo decennio a cicli di aggiornamento e formazione intensivi, legati anche alla varie fasi concorsuali. Potrebbe benissimo tornare a fare la prima generalizzata valutazione dei docenti, a costo zero. Si è mai pensato infatti quali sono i costi di pletoriche e, a mio parere, irrealizzabili commissioni peripatetiche? E concordo con Giovanni Cominelli quando afferma: “insegnanti nella Commissione così come i vari esperti (di che?!) non hanno né ruolo né senso. Non siamo per nulla distanti dal Comitato per la valutazione del servizio degli insegnanti, presieduto dal Direttore didattico o dal Preside, previsto dal Decreto Delegato n. 477 del 1974, a parte gli esperti, e mai attuato” (953, il numero magico che il “merito” della Gelmini non conosce).
Si potrebbe osservare che disconosco il ruolo degli ispettori. Ma essi sono oggi “rara avis” e i pochi rimasti si sono intrufolati tutti in uffici amministrativi, evidentemente più remunerativi. Sempre che gli ispettori siano davvero necessari. L’esperienza della mitica Finlandia che dopo la riforma della scuola del 1985 finì per sopprimere la figura dell’ispettore nel 1990, ci fa riflettere. La Finlandia al sistema dei controlli sostituì l’alta qualità della formazione in ingresso dei docenti, effettuata prevalentemente sul campo, la cui professionalità è inoltre garantita da una fitta rete nazionale di aiuto agli insegnanti. Perché, come ognuno sa, prevenire è meglio che reprimere!