“Fuori Classe” seconda parte, ma negli spogliatoi nessuno ha l’idea che potrebbe dare una svolta alla partita, per cui la fiction sulla scuola di Rai Uno ha il ritmo scontato che già lo spettatore conosce. Sono banali le storie che si intrecciano sulla scena, banali nel senso che non c’entrano con le vicende quotidiane che si possono incontrare dentro una scuola, banali perché mancano dell’ingrediente fondamentale che anche nella scuola d’oggi si trova.



Certo c’è l’insegnante in crisi con la didattica, quello che scopre che sarebbe meglio portare la chitarra in classe e cantare in inglese piuttosto che leggere poesie su poesie, il giovane alle prime armi pieno di buona volontà, ci sono anche le vicende contorte di un’umanità sempre più alla deriva, e degli studenti si può dire che quelli tratteggiati da “Fuori Classe” hanno una certa somiglianza con quelli che esistono nella realtà, anche se interpretati con una sufficienza che li sviliscono.



Dei problemi della scuola, della sua burocrazia, della gestione spesso deficitaria, del rapporto con i genitori, delle ispezioni ministeriali la fiction fa un miscuglio in cui si confondono finzione e realtà, il tutto condito da un ultimo moralismo di facciata. In una sceneggiata di tal fatta Tiziana Litizzetto riesce a salvarsi grazie alla sua capacità di non perdersi nella banalità delle situazioni, la sua interpretazione ha dell’eccezionale, perché cerca di toccare le corde dell’umano, di andare a cogliere le questioni vere che si giocano in un’ora di lezione o in una problematica scolastica.



 “Fuori Classe” è una grande miscellanea, un accatastarsi caotico di situazioni che si possono immaginare, è il tentativo di ridurre la scuola ad una pantomima, ciò che manca è l’ingrediente fondamentale della scuola, è ciò che la impasta, è che i giovani e gli adulti in classe cercano di essere felici! Non c’è dramma in questa fiction, non c’è tensione ideale, e proprio per questo tutto diventa scontato, irritante.

 

La scuola finisce così nelle maglie del non senso, come se a renderla affascinante fossero i pettegolezzi di provincia o qualche stranezza sentimentale, mentre la realtà è tutt’altro, la questione seria della scuola è ciò che “Fuori Classe” nemmeno sfiora, è il desiderio che muove uno studente a cercare di dare senso allo studio per cui si impegna o che rifiuta, è l’urgenza di bellezza e di verità che un insegnante sente mentre snocciola le sue conoscenze.

Questa fiction non ha fatto un gran servizio alla scuola, quando ne ha voluto ridere, l’ha svilita, quando ha tentato di fare sul serio, s’è ingarbugliata in un moralismo tiepido e senza prospettive. Per fortuna che quella di “Fuori Classe” non è la scuola reale, ma nemmeno se il contesto fosse un altro – e potrebbe essere, perché la scuola è solo un pretesto – la vicenda messa in scena da Riccardo Donna non riesce a cogliere nel segno, perché manca di tinte umane, prescinde da ciò che l’uomo cerca e per cui va a scuola, quel desiderio di felicità che solo rende viva e interessante un’ora di lezione.