A proposito di “qualità degli insegnanti” e dei “tagli agli organici” nelle scuole primarie a tempo pieno, ho una storia da raccontare. Storia per molti aspetti esemplare, che non ho raccontato prima di parlarne al Collegio dei Docenti di apertura dell’anno scolastico della scuola che dirigo per il sesto anno.



La qualità “a prescindere”. Alcuni pensano che la “scuola pubblica” sia “buona di per sé”, per il solo fatto che ci sono delle “buone leggi” (che molti ci invidiano, in Europa e non solo) e per la diffusa “professionalità” degli insegnanti, che rendono la scuola primaria italiana una delle migliori del mondo (se non si dà peso alle comparazioni internazionali dei risultati, che – dicono – son “troppo fredde”, legate “solo” ai risultati e non abbastanza alle didattiche inclusive e personalizzate, che nella nostra scuola sono notoriamente praticate in modo serio e diffuso…).



Molti che la pensano così sono docenti della scuola che dirigo; per i quali, di conseguenza, è del tutto fuori luogo l’ipotesi di provare a valutare gli insegnanti in base alla “considerazione” di cui godono nell’opinione dei colleghi e dei genitori degli alunni. E infatti, quando si prospettò la possibilità di una tale valutazione, il Collegio docenti bocciò sonoramente la proposta (solo 4 a favore e 7 astenuti) come una sorta di “provocazione improponibile”. Insomma, gli insegnanti (“di ruolo”, s’intende) sono tutti uguali, e nella stessa scuola tutti sono in grado di essere bravi insegnanti: è la scuola che lo garantisce.



I tagli impossibili. Alcuni pensano (e in genere sono gli stessi di cui sopra) che per fare una “buona scuola” occorre dedicarvi tanto tempo. Ci vuole tempo per insegnare, non tempi ristretti. Ci vogliono anche gli alunni, ovviamente; ma meglio se pochi. Non è più come una volta, quando una sola maestra aveva 40 e più alunni e bastava un suo cenno perché tutti stessero buoni e zitti. Oggi i bambini sono più agitati, non ascoltano, e se li si rimprovera spesso non si ottiene l’obbedienza, ma una richiesta di colloquio urgente da parte dei genitori, a difesa  dell’alunno… Insomma, l’insegnante di oggi deve poter seguire da vicino, con tanta pazienza e dedizione, ogni alunno, non la inesistente “media della classe”; quindi ha bisogno di molto tempo e pochi alunni. Fin qui si può essere anche d’accordo.

Se poi, per venire incontro alle esigenze delle famiglie (o presunte tali – intendo le esigenze), si mettono i bambini nelle classi a tempo pieno, per ogni classe ci vogliono almeno due insegnanti. Come noto, “tù is megli’ che uàn”…  Sì: due insegnanti per i 25 alunni di una classe a tempo pieno è la cifra ottimale (più, s’intende, gli “specialisti” d’Inglese, di Religione cattolica – o attività ad essa alternativa – e, se occorre, di sostegno – ma in tal caso il numero “ottimale” di alunni per classe deve scendere, più o meno a 20). Anche su questo si può essere abbastanza d’accordo.

Perciò è una rovina diminuire il numero degli insegnanti, o aumentare il numero degli alunni per classe. Ne va della qualità della scuola. E se la qualità della scuola diminuisce per il diminuire degli insegnanti, si propaga l’allarme tra tutti, a cominciare dai genitori, preoccupati che gli insegnanti potrebbero insegnare meno bene ai propri figli/loro alunni. E quando si salda un’alleanza simile tra insegnanti e docenti, ogni altro argomento passa in secondo piano.

Nemmeno si può facilmente sostenere che sia giusto che due insegnanti con orario settimanale di 22 ore facciano lezione alla stessa classe per 40 ore, e le 4 ore che avanzano le mettano a disposizione per migliorare l’offerta formativa dell’intera scuola, non solo della “loro” classe, senza aumentare troppo i costi da sostenere per i relativamente pochi alunni (relativamente alla media dei Paesi Ocse, s’intende). Scatta un’immediata obiezione: così si tagliano 4 ore tradizionalmente “dovute” agli alunni della classe, con un “taglio puramente ragionieristico ai danni della scuola” che ne diminuisce in modo irrimediabile la qualità: una cosa del genere non va assolutamente lasciata passare. L’educazione dei piccoli non può essere oggetto di risparmi “sulla loro pelle”. Ecco perché non è possibile “tagliare”: perché non è giusto. E basta. Non si discute. È così perché è così, ed è una tradizione che sia così. Almeno in qualcosa bisogna salvaguardare le tradizioni!

Un bagno di sano realismo. Due anni fa per 32 classi (di cui 1 a 30 ore e le altre a tempo pieno) erano assegnati alla scuola che dirigo 64 insegnanti (più gli “specialisti”, che non conteggio per semplicità). Lo scorso anno, per lo stesso numero di classi, l’organico dei docenti è stato di 60 più 8 ore (sempre senza specialisti).

Per il nuovo anno 2011/12 c’è una classe a tempo pieno in meno, anche perché parecchie famiglie hanno scelto altre scuole: e perché là non c’era il “quasi-obbligo” del tempo pieno; e poi a causa della “cattiva fama” di un paio di tre o quattro insegnanti che per vari motivi non godono più di “buona considerazione” nell’opinione dei colleghi e dei genitori degli alunni. L’organico assegnato è di 57 posti più 8 ore.

Questa è la realtà con cui il Collegio dei docenti ha fatto i conti. Adeguandosi, con un po’ di giusto mugugno, alla dura necessità. E lo scorso anno ha “incassato” il taglio, concentrandolo sulle classi prime e seconde; ma l’organizzazione generale della scuola non è stata completamente positiva. Per il nuovo anno, dunque, ha accolto la proposta di condividere i tagli fra tutte le classi, con 7 insegnanti e mezzo ogni 4 classi a tempo pieno (invece dei “tradizionali” 8 per 4 classi).

A giugno 2011 al Collegio dei docenti è stata offerta la possibilità di preparare “in proprio” gli abbinamenti tra i docenti, la suddivisione tra loro delle “aree disciplinari”, l’attribuzione delle ore di assistenza negli “intervalli mensa”. Così, dalle riunioni che sono seguite è emersa una prima ipotesi di organizzazione, con un risultato inatteso.

Forse i miracoli esistono. Il quadro che è emerso fa funzionare la scuola con 56 insegnanti e non con 57 (più le famose 8 ore e gli “specialisti”). I casi, adesso, sono due: o si “restituisce” il posto che avanza (dando ragione a chi pensa che le scuole possono funzionare bene con un minor numero di insegnanti, senza comprometterne la qualità complessiva), o si riformula il piano di utilizzazione degli insegnanti (magari distribuendo tra diverse classi gli insegnanti che non godono più di “buona considerazione”, sperando che così non distribuiscano il loro “lavorare male” fra tutte le classi, aumentando la disistima dei colleghi e la considerazione negativa da parte dei genitori degli alunni).

Che insegnamenti trarne? Allora la qualità delle persone conta, non basta la “garanzia di qualità” della scuola pubblica. Allora la valutazione degli insegnanti basata sulla buona fama di cui godono presso il pubblico non è da buttar via. Allora il “marchio di qualità” della scuola non è dato dal nome della scuola ma dalle persone che vi lavorano, e per come vi lavorano. Allora la qualità di una scuola non si nutre solo di “tanti insegnanti”, ma di “buoni insegnanti”… Insomma, non è vietato cambiare idea. Forse i miracoli esistono. Scusate se è poco.