In notevole anticipo rispetto agli anni precedenti sono state rese note il 12 ottobre 2011, in un incontro tra le organizzazioni sindacali e i rappresentanti del Miur, le scadenze per lo svolgimento delle prove Invalsi relative all’anno scolastico 2011/2012. In tale occasione sono state presentate le direttive, già firmate dal ministro in data 3 ottobre ma ancora non disponibili sul sito del ministero (sono la numero 87: Criteri per la predisposizione da parte dell’INVALSI dei testi della prova scritta a carattere nazionale nell’ambito dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione, e la numero 88: Obiettivi delle rilevazioni nazionali INVALSI sugli apprendimenti degli studenti), ed anche la bozza di circolare di accompagnamento ed una nota informativa che l’Invalsi invierà alle istituzioni scolastiche.



Le date, divulgate tra gli altri dal sito Tecnica della scuola, sono le seguenti: 8 maggio 2012 (Classe II Secondaria di secondo grado: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente), 9 maggio 2012 (II Primaria: prova preliminare di lettura e prova di Italiano; V Primaria: prova di Italiano), 10 maggio 2012 (I Secondaria di primo grado: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente), 11 maggio 2012 (II Primaria: prova di Matematica; V Primaria: prova di Matematica e questionario studente).



L’anticipo della comunicazione delle date delle prove è segnale dell’interesse del Miur perché tali prove vengano percepite dalle scuole come un appuntamento stabile durante l’anno scolastico, con la conseguenza di tempi più distesi, come commenta la Uil-Scuola – in modo da “prevenire molti dei danni generati da una programmazione frettolosa, collaborare per la gestione di un sistema complesso, ma importante per lo sviluppo e la qualificazione del sistema di istruzione”.

L’importanza dell’incontro consiste anche nel fatto che una buona parte dei problemi suscitati dalle prova ha natura pratica e contrattuale: un notevole sovraccarico di lavoro per la trascrizione dei dati da parte di segreterie e insegnanti, che non poteva non essere oggetto di un incontro con le organizzazioni sindacali, in modo da affrontare anche la questione del pagamento del maggior carico di lavoro degli insegnanti e del personale ATA attraverso la contrattazione d’istituto.



Anche se nel maggio scorso i giornali hanno offerto l’immagine di una situazione conflittuale nei confronti dell’Invalsi, le zone di “ostruzionismo organizzato” sono state del tutto circoscritte (per esempio Roma) prevalentemente nelle classi II della secondaria di II grado, mentre la quasi totalità degli studenti non ha mancato l’appuntamento.

Del resto, in tutti i paesi dove si sono cominciate a svolgere rilevazioni nazionali, per i primi dieci anni le polemiche hanno interessato più o meno gli stessi argomenti: i test a scelta multipla con quiz considerati di basso profilo, oppure domande troppo difficili che gli studenti non sono abituati a fare, contenuti diversi da quelli del curricolo, perché solo una parte del curricolo, perché proprio quella… ecc. Per l’Italia il decennio delle polemiche dovrebbe essere quasi trascorso. Anche se resta da avviare un dibattito più ampio e motivato sulla natura delle prove e sui loro obiettivi, è indubbio che un sistema di rilevazione nazionale è necessario se si vuole ragionare di qualità della scuola a partire da dati e non da presupposizioni.

In tutto il mondo si effettuano rilevazioni, dal momento che è dimostrato il rapporto fra qualità degli apprendimenti (non quantità, o titoli di studio formali) e crescita economica e sociale di un paese. Paradossalmente sono più i paesi in via di sviluppo che investono in rilevazioni di ottima qualità statistica che non i paesi industrializzati. Come ha affermato Giorgio Vittadini nella relazione introduttiva della Convention annuale dell’associazione di insegnanti Diesse sabato scorso, se la politica ricordasse che il miracolo economico degli anni del boom è stato fatto sulla base delle ottime scuole tecniche di cui l’Italia poteva vantarsi, l’istruzione sarebbe sentita come un fattore fondamentale della ripresa economica, e non come un problema sociale.

Sono contemporaneamente aperti almeno due filoni di dibattito all’interno della società. Il primo è quello sulla natura delle prove, per esempio sui fondamenti teorici di una rilevazione della capacità di comprendere un testo o di operare matematicamente: sarebbe opportuno che questo dibattito, a largo raggio e fondamentale anche per la didattica, venisse svolto non immediatamente dopo la pubblicazione delle prove per rilevarne eventuali manchevolezze, ma prima, e che portasse ad approfondimenti di qualità.

Il secondo è sulla utilità di banche-dati come quelle delle prove Ocse Pisa o Invalsi, messe a disposizione innanzitutto degli studiosi, perché li utilizzino alla ricerca delle variabili e dei fattori sui quali è possibile intervenire per migliorare la scuola. Su questo aspetto, salvo lodevoli eccezioni, in Italia l’accademia pare molto meno interessata che all’estero.

Il dubbio poi sull’utilizzo dei dati per operazioni non trasparenti è sempre fonte di polemica, e non dovrebbe essere alimentato anche in alto loco. La recente direttiva 88, a quel che si capisce, dovrebbe aver confermato l’intenzione del Ministero di favorire una più stretta collaborazione fra Invalsi e istituzioni scolastiche, in una logica di reciprocità di vantaggio e nell’ottica dell’innalzamento degli apprendimenti degli studenti. A tale proposito, l’Invalsi prevede di restituire alle scuole a metà novembre gli esiti delle rilevazioni dell’a.s. 2010/11.

In realtà, le prove cominciano a essere sentite come un’occasione e una risorsa. Sono molte le scuole che provano a proporre letture sistematiche dei dati, in cui vengono presentati (all’interno del collegio docenti oppure all’esterno) non solo i risultati comparativi rispetto all’Italia e alla regione di appartenenza, ma anche interpretazioni analitiche delle criticità e suggerimenti concreti per il miglioramento, come libri di testo più adatti a sviluppare atteggiamenti critici e non routinari. Alcune scuole provano a stendere “rapporti di scuola” sulla base delle informazioni esterne e a usarli nei rapporti con l’utenza, senza temere il confronto ma anzi proseguendo la tradizione ormai più che decennale di trasparenza e ottimizzazione del servizio, che ha visto nei Pof e nei progetti qualità, pur nella differenza sostanziale degli approcci, un precursore della rendicontazione ai cittadini.

Come si sa il vero punto debole è la scarsezza di momenti formativi sull’importanza e sulle possibili dinamiche virtuose delle rilevazioni. È partito il 18 ottobre un ciclo di seminari presso il nucleo territoriale lombardo dell’Ansas, a cura di chi scrive, in cui si affronteranno molti temi, come per esempio: perché ovunque nel mondo si fanno questi tipi di rilevazione, quali sono i vantaggi e le criticità; che cosa è una prova standardizzata e sotto quali profili differisce da una normale prova di apprendimento; che rapporto esiste fra ambiti della rilevazione e curricoli scolastici e qual è l’importanza dei quadri di riferimento; sulla base di quali elementi si può controllare l’affidabilità delle rilevazioni; qual è l’importanza di informazioni “generali” per il singolo docente e la singola scuola eccetera. E’ un modo anche per mettere a disposizione delle scuole il materiale prodotto dall’Invalsi e dal Miur per le campagne informative nelle regioni dell’obiettivo convergenza (Puglia, Sicilia, Calabria, Campania) svolte a partire dal 2008 fino a tutt’oggi.

Molti aspetti della ricerca sui livelli di apprendimento sono ancora da implementare: per esempio le misure di valore aggiunto o dell’efficacia delle scuole e la possibilità di misurare anche il trend da un anno all’altro. Certo quello che è in gioco non è da poco: se cioè i nostri studenti hanno buone probabilità di riuscita personale e sociale, se si presenteranno sulla scena della vita adulta dotati di un’educazione alla responsabilità, alla realizzazione di obiettivi, se saranno in grado di porsi criticamente e creativamente sugli obiettivi da raggiungere. I giovani e la loro formazione sono infatti il vero fattore dell’uscita dalla crisi.

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