Gli articoli dei giorni scorsi sulle pagine del Financial Times e di Repubblica hanno richiamato l’attenzione sul problema della conoscenza, o forse sarebbe meglio dire non conoscenza, delle lingue in Italia. A tutti è noto il grande divario che ci divide dagli altri paesi europei. Parliamo poco le lingue straniere e nella scuola superiore l’insegnamento viene limitato alla sola lingua inglese ad eccezione degli indirizzi economici di amministrazione, finanza e marketing e del turismo e nei licei linguistici. E se è vero che gli stranieri sanno le lingue meglio di noi pur studiandole meno, allora che cosa non funziona? Nell’intervista rilasciata a IlSussidiario.net Giuseppe Bertagna afferma che “se l’apprendimento della lingua straniera non trova un senso proprio nella motivazione e nell’interesse di chi apprende, ha vita breve. La lingua straniera deve diventare una modalità di rapporto con il mondo”. Questo è il punto di partenza da prendere in considerazione per ogni tipo di apprendimento, ma soprattutto per l’apprendimento linguistico. E se oggi ci sono 50 milioni di persone che tentano di imparare il mandarino, è perché cambiando le condizioni della realtà, cambiano i bisogni e l’esigenza di entrare in rapporto con nuove culture ci costringe a modificare le nostre abitudini. È in base a queste considerazioni che è giusto introdurre il dibattito sull’introduzione del Clil nella nostra scuola.
La riforma della scuola secondaria di II grado prevede l’insegnamento di una disciplina curricolare in lingua straniera per le classi terminali negli istituti tecnici e nei licei. Ciò significa che a partire dall’anno scolastico 2014/15 il Clil, acronimo di Content and Language Integrated Learning andrà a regime. Nel liceo linguistico l’insegnamento di una disciplina nella prima lingua straniera deve iniziare dalla classe terza, cioè dal prossimo anno, e a partire dall’anno successivo, in quarta, una seconda disciplina verrà insegnata nella seconda lingua straniera. Quindi due discipline in due lingue straniere.
Clil ha nella sua definizione il suo stesso significato teorico, cioè l’apprendimento dei contenuti disciplinari e della lingua straniera devono attuarsi attraverso un processo integrato. Tale approccio è già entrato in molte scuole del I ciclo e nelle scuole secondarie di I grado e anche molti docenti della secondaria di II grado stanno iniziando a introdurlo su base volontaria nella propria didattica, nelle classi iniziali, in modo da abituare gli studenti a lavorare secondo le indicazioni tipiche di tale approccio.
Conseguire questo duplice obiettivo oltre a richiedere lo sviluppo di un approccio integrato, impone un ripensamento della propria pratica didattica, dedicando maggiore attenzione non solo all’insegnamento della disciplina, ma soprattutto più in particolare al processo di apprendimento. Non è solo questo, poiché la conoscenza della lingua può essere presupposto indispensabile per accedere a materiali, lezioni on-line svolte in università straniere, nuovi strumenti come web tool e software funzionali alla progettazione di un percorso Clil, che possono farci scoprire nuove potenzialità nella pratica didattica quotidiana.
Il Clil è stato introdotto per rispondere adeguatamente alle pressanti richieste dell’Unione europea di sviluppare negli alunni efficaci competenze almeno in due lingue oltre alla propria, con la consapevolezza che l’insegnamento di una lingua straniera da solo non basta a superare quel livello di competenze di base ormai non più adeguato alla realtà in cui viviamo. Perché questo avvenga, una delle condizioni è che gli studenti abbiano più occasioni di esposizione alla lingua straniera e il Clil, dunque, è un modo per raggiungere tale obiettivo.
Negli altri paesi europei tale approccio è stato introdotto da anni, in Finlandia addirittura negli anni novanta, dove la qualità dell’insegnamento è decisamente migliorata e il Clil gradualmente è diventato parte dell’insegnamento linguistico nel sistema scolastico finlandese. Studiare in una lingua straniera e usare una lingua straniera come strumento a scuola al di fuori dell’effettivo insegnamento linguistico può essere usato per diversi tipi di studenti ed è spesso considerato un modo molto significativo, utile e motivante per imparare le lingue straniere, ma alcuni studi dimostrano che per essere efficace il Clil dev’essere una scelta che coinvolge tutta la scuola.
Quali problematiche apre l’introduzione del Clil nel nostro sistema scolastico in cui i docenti mediamente hanno una scarsa conoscenza delle lingue straniere? E quali sono le competenze caratterizzanti il profilo del docente Clil? E ancora, conoscere la propria materia e conoscere bene una lingua basta per poter veicolare il contenuto in lingua straniera?
Il percorso di formazione dei docenti di discipline non linguistiche prevede innanzitutto lo sviluppo di competenze linguistico-comunicative e di conseguenza di competenze metodologico-didattiche.
Per quanto riguarda il primo punto il Ministero ha programmato un percorso molto lungo della durata di quattro anni per il passaggio da un livello B1 a C1 per un totale complessivo di 520 ore con un modello blended. Sicuramente è preferibile un percorso molto più rapido, le scuole possono organizzare la formazione linguistica finalizzata alla certificazione e raggiungere lo stesso obiettivo in modo più indolore.
Per quanto riguarda le competenze metodologico-didattiche il percorso è più complesso, perché la formazione sarà curata dalle facoltà universitarie e di conseguenza non sarà facile avviarla.
Il decreto con il regolamento relativo alla “Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n.244” all’art. 14 prevede che entro 5 anni le università istituiscano Corsi di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera, cui potranno accedere gli insegnanti in possesso di abilitazione e di competenze certificate nella lingua straniera di almeno Livello C1 del “Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue”.
I percorsi formativi sono istituiti per la scuola secondaria di secondo grado e prevedono l’acquisizione di almeno 60 crediti formativi (1.500 ore) comprensivi di un tirocinio di almeno 300 ore pari a 12 crediti formativi universitari.
A conclusione del corso, al candidato che supera con esito favorevole l’esame finale è rilasciato il certificato attestante le acquisite competenze per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera.
Si prevede anche la programmazione di un percorso abbreviato, della durata di 500 ore (20 CFU), rivolto a docenti di discipline non linguistiche di scuola secondaria di secondo grado. I docenti in possesso delle competenze linguistiche di livello C1-C2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue potranno accedere direttamente a corsi di perfezionamento didattico-metodologico secondo l’approccio Clil che saranno affidati alle Facoltà universitarie in possesso dei requisiti definiti dal Gruppo di lavoro del Miur (Decreto AOODGPER 7236 del 29 Luglio 2010).
Ora, quali sono i nodi cruciali della questione? Prima fra tutte è una considerazione di ordine economico. È apprezzabile il tentativo di creare una figura di docente che acquisisce professionalità e competenze linguistiche specifiche, ma allo stesso tempo – a fronte di una formazione estremamente lunga e impegnativa che, non dimentichiamolo, si affianca all’impegno del lavoro a scuola – non si prevede nessun riconoscimento della professionalità acquisita.
Altra questione spinosa, perché affidare la formazione all’università che deve istituire corsi specifici su un tema di cui c’è scarsa conoscenza in ambito universitario ad eccezione di Ca’ Foscari a Venezia. E ancora, quale sarà il profilo di chi dovrà formare i docenti di disciplina sul Clil? E in quali facoltà si avvieranno questi percorsi? Infine, se l’anno prossimo si dovrà iniziare nei licei linguistici dalla classe terza e la formazione non è ancora partita, che cosa si farà? I docenti si organizzeranno autonomamente senza avere acquisito le competenze richieste? La formazione in questo caso non sarà necessaria?
E infine un’ultima riflessione. In un periodo in cui non si parla d’altro che di tagli e soprattutto nella scuola, come mai si è messa in piedi una macchina così complessa e impegnativa che assorbirà non poche risorse se consideriamo soprattutto i numeri dei docenti (13.800) che hanno presentato domanda per accedere a questi corsi?
Si potrebbe concludere con la solita nota negativa, cambiare tutto per non cambiare niente, ma chi in questi anni ha lavorato seriamente sul Clil sa che può essere davvero una strada per recuperare il tempo perduto.