La diversità linguistica certamente colpisce quale primo fattore di potenziale difficoltà, imbarazzo e anche attrito nell’incontro interculturale. In ambito scolastico, il plurilinguismo è ormai in qualche misura un problema da affrontare, come hanno fatto numerose ricerche che si occupano dell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda ai sempre più numerosi allievi stranieri, per portarli a un livello di comprensione sufficiente ad affrontare l’impegno dello studio e a rapportarsi con gli altri.
Ma è tutto qui? Il popolarsi di lingue “altre” delle nostre classi non è soltanto un fenomeno da arginare ma un’opportunità per tutti – gli allievi stranieri e i loro compagni e insegnanti italiani. Certamente non ha senso immaginare che tutti imparino tutte le lingue degli altri; tuttavia, un certo grado di apertura alle lingue che convivono in una classe (incluso l’inglese e le altre lingue che si imparano a scuola) può rappresentare un guadagno educativo. A questo proposito vorrei proporre due osservazioni e un nota bene finale a proposito del plurilinguismo.
Una prima osservazione riguarda il valore della lingua in quanto essa orienta il nostro sguardo sulla realtà. In questi due termini, “nostro” e “sguardo”, si racchiude un’ipotesi sul valore del plurilinguismo per tutti, non solo per chi debba imparare l’italiano come lingua seconda. Per sguardo intendiamo una griglia di categorie, cioè di domande, di attese cariche di interesse sulla realtà. La griglia di categorie che ci è fornita dalla lingua è nostra, non “mia” o “tua”, in quanto le lingue storico-naturali sono parte di quell’eredità culturale che ci è trasmessa e che ci offre, fin da bambini, il primo strumento di comprensione e di rapporto con la realtà, inclusa la realtà sociale delle relazioni umane.
La lingua è quindi uno strumento indispensabile per capire la realtà e per modificarla. Essa però resta uno sguardo particolare, che non coincide con la realtà e non ne esaurisce la profonda ricchezza. Da questo punto di vista, l’incontro con chi sia portatore di un’altra lingua e, più in generale, l’apertura al plurilinguismo, diventano un’occasione imperdibile di apertura alla realtà. Quando, cercando di parlare con un altro, traduco, io passo dal codice alla realtà, mi pongo una domanda più profonda – non sulla lingua ma sulle cose. Quando l’inglese, per esempio, ci fa distinguere fra house e home – casa come edificio fisico dove vivo e casa come luogo che definisce la mia identità, il centro dei miei affetti, cui ritorno perché sono legato – ci rende sensibili a una distinzione che siamo in grado riconoscere nella realtà; anche se per noi, parlanti nativi dell’italiano, questa distinzione resterebbe in ombra nella nostra lingua. L’apertura alla realtà garantita dal plurilinguismo si declina in prospettiva sincronica, in quanto, come abbiamo detto, diverse lingue illuminano aspetti diversi della realtà; e in prospettiva diacronica perché, domandandosi le ragioni di certe strutture o manifestazioni linguistiche, si approfondisce la storia della lingua e il suo intreccio con la storia dell’uomo.
Nell’affrontare il tema del plurilinguismo, non può non venire alla mente il discorso sul valore economico “di mercato” di una o dell’altra lingua, di cui si parla frequentemente; certamente la conoscenza delle lingue straniere (e, strategicamente, di alcune lingue in particolare a seconda dei contesti e degli scopi) offre un vantaggio competitivo sul mercato del lavoro. Ma nel suo valore di potenziale apertura alla realtà, cui abbiamo brevemente accennato, emerge anche il prezioso valore educativo del plurilinguismo.
Una seconda dimensione riguarda il valore affettivo della lingua. La lingua non è solo codice, griglia di categorie; essa veicola testi, è protagonista di esperienze; i nostri affetti sono sempre legati a una lingua – ad esempio, la lingua o le lingue dei nostri genitori, la lingua delle canzoni che amiamo… La lingua è quindi anche un canale affettivo e coinvolgersi con la lingua dell’altro è sempre, in qualche modo, avvicinarsi alla sua esperienza. Anche in questo senso, il plurilinguismo offre uno strumento di apertura alla realtà e incontro con l’altro.
Vorrei concludere sfatando quello che definirei lo “spettro” della Torre di Babele: la paura, a volte ingiustificata, dell’ingestibilità del plurilinguismo, dell’incomprensione; tale paura si accentua a fronte di una situazione mondiale di crescente interscambio e di migrazioni. Non è, questo, un problema da sottovalutare; tuttavia non è un problema nuovo o irrisolvibile – si pensi, non troppo tempo fa, al rapporto tra dialetti e italiano standard in Italia; o all’emigrazione italiana in altri continenti. Pur nella diversità linguistica, come abbiamo visto, resta in comune l’ancoraggio alla realtà, incluso il nucleo umano dell’esperienza elementare, che permette l’incontro di identità diverse.