Caro direttore,

un caso particolare ed emerge la vera natura di questa scuola. In un liceo di provincia, quello in cui insegno, si tenta di applicare la flessibilità. Lo si fa nel liceo scientifico con una proposta di buon senso, quella di inserire una seconda lingua straniera togliendo un’ora di storia, una di fisica e una di latino. Perché lo si propone? Semplice: per rispondere ad un’esigenza delle famiglie – vi è un bel numero di studenti che va a fare il liceo linguistico a 20 km di distanza – e per continuare una tradizione ventennale di legame con una scuola tedesca. 



La proposta non passa, anzi è bocciata dalla stragrande maggioranza degli insegnanti, che non vuole la flessibilità. Non c’è più destra e non c’è più sinistra, tutti contro chi vuole apportare una modifica alla riforma Gelmini perché la ritiene troppo rigida. E sarebbe possibile farlo con la flessibilità, ossia non aumentando ore di lezione ma mantenendo lo stesso numero di ore complessive; il che, inevitabilmente, porta a quella che molti chiamano la “guerra tra poveri”. Tant’è vero che per mettere delle ore di una nuova materia devo togliere ore delle altre! Si forma così una strana alleanza: chi è contro la Gelmini non vuole che si modifichi il suo impianto, chi è con la riforma la vuole “pura”, come dettata dal ministero, non una virgola in più, non una virgola in meno. 



Chi è contro la riforma del ministro non vuole che si metta in atto nessuna iniziativa perché rifiuta la riforma in quanto tale e quindi rifiuta qualsiasi operazione di modificazione che peggiorerebbe le già precarie condizioni degli insegnanti, costretti dai provvedimenti del ministro a lottare per mantenere titolarità – gli insegnanti di ruolo – e il posto di lavoro – i precari. Chi invece è a favore della riforma vuole che venga applicata come è, senza tornare a percorsi diversificati. Nel caso di cui sopra guai a fare di un liceo scientifico una scuola con due lingue straniere, perché si ridurrebbe il valore stesso dello scientifico e l’importanza di discipline come matematica, fisica e scienze. Per cui, stranamente, chi è contro la riforma si trova a votare assieme a chi è a favore della riforma, e da due punti di vista opposti e inconciliabili vota contro la richiesta di una modifica così da contribuire al mantenimento dello status quo. Nel liceo suddetto rimane il liceo scientifico voluto dal ministro, viene bocciata la proposta di inserire l’insegnamento di una seconda lingua straniera. Le famiglie che vogliano per i loro figli una scuola con una caratterizzazione più linguistica dovranno continuare a mandarli da un’altra parte.  



E così un fatto accaduto nella più provincia delle province dimostra una cosa semplice, che in questa scuola dove nulla va bene nessuno vuol cambiare. Sono diversi i motivi, sta di fatto che sia chi protesta sia chi condivide l’operato dell’istituzione finisce con l’essere a favore del mantenimento della rigidità del sistema che la Gelmini ha varato. 

La questione seria di questa scuola è che c’è libertà di pensiero, e tanta, ma nessuna libertà di costruire qualcosa di nuovo. Il ministro Gelmini ha di fatto impostato una scuola che è diretta dalle sue prescrizioni e dai meccanismi istituzionali. I programmi sono quelli del ministero e guai a chi tenta strade diverse, la distribuzione delle materie è quella stabilita dall’alto e fare dei cambiamenti è praticamente impossibile, la mentalità dominante è quella che considera gli studenti come delle oche da ingozzare, e conoscere viene ridotto ad essere informati. Il ministro Gelmini ha disegnato una scuola dove tutto è possibile, ma che in realtà non lascia spazio al minimo cambiamento, perché vi è una mentalità dominante con la quale si è alleato il ministro: ed è che indignarsi è giusto, cambiare è invece impossibile. 

L’insegnante di oggi è messo sempre più alle strette, la sua condizione professionale peggiora: economicamente il suo potere d’acquisto diminuisce ogni anno sempre di più, la sua libertà è ridotta ai minimi termini, le incentivazioni di questi anni sono state dimezzate tanto da far diventare volontariato ogni prestazione che vada oltre le ore di insegnamento, la collegialità è oggi un cappio al collo sempre più soffocante. In una condizione effettivamente difficile domina il lamento e l’indignazione, fino a ritenere impossibile un cambiamento, fino a rinunciare a costruire qualcosa di nuovo. Si dice tutto contro, ma non si fa nulla per tentare di rispondere ai bisogni di educazione e di istruzione che urgono fino ad esplodere. Cioè domina lo scetticismo. È il paradosso di questi tempi: una scuola in cui nessuno crede, rimane in piedi perché nessuno vuole scommettere sulla voglia di cambiare. 

Lungi da me, sia chiaro, pensare che la flessibilità sia la panacea di tutti i mali della scuola. Essa è solo uno strumento, perché in realtà la questione vera della scuola sta prima di autonomia e flessibilità; sta dove c’è un insegnante e uno studente che hanno fiducia l’uno dell’altro perché puntano sulla loro reciproca umanità. E questo è il punto che può vincere lo scetticismo dominante, non chi si affida all’organizzazione o ai programmi del ministro, non chi spera in una sua idea di scuola, ma chi già oggi vive la scuola come occasione per scoprire e far crescere la sua umanità. Ci sono insegnanti e studenti che già oggi vivono questa avventura e che sanno scegliere gli strumenti adatti a valorizzarla. La scuola sopravvive solo grazie a loro.