Riusciranno le Regioni a fare il dimensionamento scolastico voluto dal governo? Giovedì scorso, in Commissione cultura del Senato, è stato approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a rivedere le disposizioni relative alla dirigenza delle scuole con meno di 600 alunni, che si troverebbero ad essere guidate da un reggente invece che da un dirigente scolastico. L’Odg approvato inoltre impegna il Governo a fare ricorso ad un Fondo per ridurre il disservizio dovuto alla razionalizzazione che interverrebbe sui numeri delle scuole da accorpare e sui dirigenti interessati; questo dovrebbe anche aumentare i tempi dell’operazione, che fin da subito hanno rappresentato una delle incognite maggiori.
«Io sono d’accordo su questa iniziativa assunta dal governo, anzi è perfino tardiva» dice a Ilsussidiario.net Lucrezia Stellacci, direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Puglia.  «Solo mi dispiace che sia stata inserita in una manovra finanziaria, perché fare un’operazione del genere significa non solo risparmiare, ma dettare un nuovo modello organizzativo. Ora, noi abbiamo una scuola primaria che funziona, e questo è generalizzabile a tutto il territorio nazionale; mentre la media è carente e non soddisfa le attese, in particolare nella mia regione, che ha sempre fatto una scelta contraria alla creazione di istituti comprensivi».



Dunque, direttore, lei vede con favore questo processo di razionalizzazione, che contempla la reazione di istituti comprensivi.

Sì. E ho sempre cercato nelle conferenze di servizio dei dirigenti scolastici di muovere tutte le loro resistenze a questo modello, che avrebbe potuto aiutare la nostra Regione a ottenere risultati migliori.



Sugli accorpamenti però c’è stato un prima e un dopo. Già le leggi Bassanini del 2001 richiedevano un minimo di 800 alunni per scuola, ma quella razionalizzazione fu fatta o no?

Io posso parlare della Puglia, dove una razionalizzazione seria non è mai stata fatta. Furono fatti alcuni ritocchi in alcune delle province maggiori, come Bari, Foggia o Taranto, ma accorpamenti effettivi non sono mai stati fatti né si è mai guardato con favore al modello degli istituti comprensivi. Fatta eccezione per Lecce, che avendo comuni molto piccoli ha dovuto giocoforza rivolgersi a questo modello organizzativo per salvaguardare l’autonomia delle istituzioni scolastiche.



Veniamo all’oggi. Con un successivo decreto, il Governo ha elevato a 1.000 studenti la soglia per l’accorpamento.

Questo è un elemento che mi preoccupa. E’ il lato negativo di questo intervento, nel quale è evidente la necessità di fare cassa. Auspico che questo indicatore numerico abbia più un valore organizzativo che prescrittivo, e la conferma ci è venuta dal Ministero, che per vie formali ci ha comunicato che gli istituti di primo ciclo devono essere ridotti di 200 autonomie scolastiche in tutta la Regione Puglia. In altri termini: non è necessario che facciate scuole di 1.000 alunni, ce ne possono essere di 800 come di 1.300, l’importante è che si abbia un taglio di scuole corrispondente al numero previsto nel piano finanziario.

Secondo lei si porranno problemi di salvaguardia della qualità del servizio?

Non penso. Secondo me il modello dei comprensivi può far bene alla scuola; certo è che se ci si fissa sui numeri ponendo schemi rigidi (come la soglia di cui parlavo poc’anzi) è facile a quel punto incorrere in operazioni ragionieristiche che non possono portare buoni frutti per il livello della formazione.

E come cambia il ruolo della dirigenza?

Il ruolo della dirigenza è già cambiato con un regolamento qualche anno fa. Oggi i dirigenti possono essere – secondo me inopportunamente – di ogni grado di scuola, di circolo didattico, di scuola media come di istituto superiore. Al che quasi tutti hanno chiesto di passare all’istituto superiore, perché vi vedono una forma di promozione e di gratificazione professionale. Resta il fatto che un dirigente scolastico deve essere a capo di una istituzione scolastica complessa. Può essere tale forse perché rimangono uguali e diversificate le componenti della comunità, ma con 300 alunni in verità non si può parlare di un vero ufficio dirigenziale.

Nelle Regioni del nord c’è la tendenza ad estendere il modello comprensivo anche in senso verticale fino alle scuole superiori e non solo fino al primo ciclo. Cosa ne pensa?

Su questo non sono molto d’accordo. Condivido la posizione del Ministero che lo si possa fare solo in casi eccezionali – perché casi eccezionali ci sono -, anche se le eccezioni sono molto pericolose in Italia, perché tutti vogliono farvi parte. Però non penso che possa andar bene, perché il primo ciclo ha molti elementi in comune, invece il secondo ciclo è un’altra cosa, richiede un’altra mentalità: lo sguardo è rivolto al mondo del lavoro e al territorio, mentre nel primo ciclo sono altre le componenti che dovrebbero prevalere, soprattutto nella didattica, inclusiva e orientativa. Nel secondo grado questi giochi ormai sono stati fatti. O almeno così dovrebbe essere.

Due ultime considerazioni. Torniamo alla Puglia.

In base agli accorpamenti previsti dovremmo tagliare circa 200 autonomie: mi auguro che questo taglio possa non necessariamente essere concluso entro l’anno, ma che ci sia un po’ più di tempo, diciamo due-tre anni. Vedrei molto difficile fare un intervento serio entro i due mesi che ci restano.

Quindi, bene il provvedimento, ma servirebbe più tempo?

Sì. Prendiamo la Puglia. Se consideriamo l’ulteriore aggravamento relativo ai 600 alunni (la modifica introdotta successivamente alla legge di luglio, che ha elevato a 600 la soglia di 500 alunni inizialmente prevista per accorpare, ndr): l’aumento di 100 farebbe raddoppiare le scuole candidate alla reggenza: sulla base di 500 alunni avremmo 180 istituzioni scolastiche, ma sulla base di 600, 330 istituzioni scolastiche senza dirigente. Non avere il Ds per una scuola significa non esistere, essere soltanto un plesso e non una istituzione scolastica autonoma.

Dove sta il problema?

Nel fatto che un dirigente che ha la titolarità di un istituzione corposa di mille, 1.500 alunni in più deve farsi carico di una scuola con 590 alunni, anche di un altro grado di scuola. La prima manovra cercavamo di realizzarla nella maniera meno dolorosa per la scuola, ma attuare quanto previsto dal secondo intervento legislativo ci sembra veramente irrealizzabile.

Come mai secondo lei in conferenza Stato-Regioni molte Regioni sono sembrate contrastare il provvedimento, al di là del colore politico?

Perché l’istituzione scuola rimane sempre un presidio non solo di istruzione, ma di legalità in molti comuni, è una sorta di ultimo baluardo, e quindi è difficile che sia condiscendente ad essere limitata nel suo potere di gestione. Certo, una discriminante che si farà sentire è dovuta al fatto, e lo ripeto, che specialmente nelle Regioni del nord il lavoro di razionalizzazione è già stato fatto con grande competenza e senso di responsabilità, anche se forse gli ultimi interventi avrebbero dovuto essere condivisi con le Regioni e non decisi autonomamente dallo Stato. Diverso è il discorso per il sud.

Perché?

Penso che qui lo Stato debba essere più risoluto, perché altrimenti le regioni e gli enti locali non fanno – e non faranno in questo caso – proprio nulla.