L’attesa della pubblicazione da parte del Miur dei numeri ufficiali dei posti disponibili per il Tfa (Tirocinio formativo attivo) abilitante si colora di suspense dopo la notizia che il Miur riceverà il 3 novembre prossimo le organizzazioni sindacali per una informativa concernente appunto il tirocinio per la formazione degli insegnanti. È evidente che i sindacati intendono esercitare un’azione condizionante in questa circostanza e la cosa non può che preoccupare, dati i precedenti e le più recenti prese di posizione delle loro segreterie.



L’attuale situazione sociale del Paese ha visto, infatti, il sindacato dividersi spesso su alcuni temi fondamentali come le politiche del lavoro, i metodi di lotta, la concezione del welfare. L’unità sindacale tuttavia si ricompatta, a quanto sembra, quando si tratta di affrontare alcuni aspetti della politica scolastica italiana inerenti, soprattutto, alla figura del docente, alla configurazione normativa della formazione e dell’incarico sul posto di lavoro, ai compiti che è chiamato a svolgere nell’ambito educativo.



Per tracciare in breve la storia di questa “strana” circostanza, si può partire da uno scambio di lettere aperte avvenuto all’inizio dell’anno scolastico 2004 tra l’associazione Diesse e l’allora segretario della Cgil Scuola, Enrico Panini. All’associazione di insegnanti che chiedeva se non fosse il caso di ripensare lo stato giuridico del docente e il suo ruolo nella scuola, non riconducibile alla sola difesa del posto di lavoro degli occupati (cosa che il sindacato, peraltro, sa fare molto bene), Panini dopo avere riconosciuto onestamente che la scuola ha esercitato nel recente passato il ruolo di ammortizzatore sociale (“per tutti gli anni 70 ed 80 la scuola ha fatto fronte alla crescente disoccupazione intellettuale in un Paese nel quale l’industria non investe in ricerca e sviluppo e trovare un lavoro dopo certi percorsi di studio era pressoché impossibile”), rispose che “l’attuale Governo (il ministro dell’Istruzione era Letizia Moratti, ndr) si riempie la bocca di investimenti e di professionalità ma riduce i primi a dimensioni miserrime e agita la seconda per giustificare il ricorso alla Legge per governare il rapporto di lavoro. Ad esempio, la proposta di stato giuridico ora in discussione è un modo per mettere sotto controllo gli insegnanti ed eliminare i sindacati, stravolge il ruolo e la funzione dell’associazionismo professionale trasformandolo in uno strumento di intermediazione”. Una risposta emblematica, perché metteva in correlazione il rifiuto della tanto paventata (quanto mai realizzata) trasformazione della situazione normativa del corpo docente con la difesa dell’egemonia del sindacato su questo importante segmento della società, punto di convergenza di numerosi interessi (quelli degli insegnanti e delle loro famiglie). Da allora le cose non sono cambiate.



Durante la XIV legislatura (2001-2006) vennero presentati, a cura rispettivamente dei parlamentari Santulli (Forza Italia) e Napoli (Alleanza Nazionale) due disegni di legge, poi unificati in un testo unico, riguardanti l’articolazione della professione docente in tre distinti livelli (docente iniziale, ordinario, esperto) che dovevano corrispondere a tre diversi livelli di inquadramento del personale dei ruoli dello Stato, ossia ad una carriera del personale docente stabilita ex lege.

Notevole fu il fuoco di sbarramento contro questo tipo di intervento e, da allora, contro altri analoghi tentativi posteriori. All’atto della presentazione della proposta Santulli-Napoli in Commissione Istruzione della Camera, il segretario generale di Cisl Scuola Francesco Scrima esaltò il potere di ingerenza della sua organizzazione (“in nome dei 200mila iscritti”), rispetto a chi gli faceva notare che è singolare affidare a soggetti privati, quali sono i sindacati, la garanzia del quadro di riferimento della docenza che invece spetterebbe al Parlamento, nel rispetto della libertà di insegnamento assicurato dalla Costituzione.

Forse anche per questa opposizione, che trovò addentellati pure all’interno delle forze di maggioranza, quel progetto di riqualificazione della identità docente non decollò: la stessa sorte che è toccata alla proposta di legge dell’On. Valentina Aprea (Pdl), presentata nel 2008. Ricca di un interessante ventaglio di ipotesi normative (trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni; introduzione nelle scuole dell’autonomia finanziaria e dei consigli di amministrazione; articolazione giuridica della professione docente; albi regionali degli abilitati e concorsi di istituto per le assunzioni sui posti disponibili), l’iniziativa fu subito impallinata da uno sciopero generale della scuola indetto il 30 ottobre 2008 a cura di CgilScuola, CislScuola, UilScuola, Snals Confsal e Gilda Unams, la cui piattaforma rivendicava, tra l’altro, anche l’obiettivo del mantenimento delle prerogative contrattuali contro le incursioni legislative nella disciplina del rapporto di lavoro (sic!). Un linguaggio che, a questo punto, possiamo bene inquadrare nel contesto ideologico di prerogative contrattuali che il sindacato ritiene intoccabili, come gli inquadramenti, le modalità, le condizioni, i tempi delle progressione professionale e i derivanti livelli retributivi. Di conseguenza, tutte le volte che tali materie sembrano sottratte alla contrattazione collettiva e affidate al dettato legislativo, al sindacato succede di perdere la tramontana. 

Lungi dall’ammettere che il sistema della contrattazione nazionale ha debordato dalle proprie competenze, che dovrebbero limitarsi a quelle del profilo economico, ed è in gran parte superato da situazioni di fatto che obbligano i docenti ad assumere responsabilità di gestione autonoma della propria condizione lavorativa (in ogni scuola da tempo si è costituita una leadership educativa), le organizzazioni sindacali faticano a tenere il ritmo dei tempi e, non volendo ripensare i cambiamenti del nesso tra domanda e offerta di istruzione, spesso li bloccano.

Per fare un esempio paradossale, una ricerca commissionata dalla CislScuola nel 2010 (“Energie per il domani – La scuola italiana, valori e consapevolezza a servizio dei giovani e del Paese”) ammette che l’identità docente è ormai assimilabile ad una professione più che ad una funzione sociale. “Gli insegnanti – si legge nel rapporto – vogliono mettersi in gioco sempre di più. Più di 6 intervistati su 10 (il 63%) vedono di buon occhio l’idea di legare il proprio percorso di carriera a sistemi di valutazione. È forte il desiderio di distinguersi dall’ordinario, di far vedere quanto ciascun docente ha da offrire, di fare emergere le peculiarità individuali nel regolare svolgimento delle attività scolastiche. È diffuso, soprattutto, il bisogno di vedere riconosciuti i propri meriti e di proseguire un percorso di crescita professionale e personale”.

Fin qui la ricerca, contraddetta nella misura in cui il sindacato non cessa di considerare il personale docente come l’espressione di un’area all’interno del più vasto comparto della scuola, di cui fa parte anche il personale Ata (ausiliario, tecnico, amministrativo). È farina del sacco sindacale, per esempio, la rigidità con cui viene inteso l’orario di lavoro che, in un periodo di tagli e organici ridotti, mette spesso in ginocchio le scuole. Difficili spesso da gestire le 18 ore settimanali, obbligatorie per contratto, nelle scuole e istituti d’istruzione secondaria e artistica: meglio sarebbe un pacchetto orario mensile da affidare in gestione alle scuole in base alle necessità.

È bloccato dal sindacato qualunque accenno ad una possibile progressione economica che sia separata dall’istituto collettivistico della incentivazione e affidata a forme di valutazione esterna della qualità dell’insegnamento: dure le reazioni sindacali, specie di fonte cgiellina, alle sperimentazioni ministeriali riguardanti i docenti (conclusa) e le scuole (ancora in atto). Bloccata ogni revisione del sistema del reclutamento che separi il percorso formativo e abilitante del docente dalla sua assunzione all’interno del sistema nazionale di istruzione, costituito da scuole statali e non statali: al sindacato interessa il precariato storico inserito nelle graduatorie ad esaurimento, piuttosto che la forza lavoro intellettuale rintracciabile nei giovani che attendono di abilitarsi avendone tutti i requisiti.

E arriviamo con questo all’attualità e al caso del percorso di formazione iniziale dei docenti che, in relazione ai Tfa (Tirocini formativi attivi), dopo la pubblicazione dell’offerta formativa proposta dagli atenei nel numero di 26.364, tra Tfa di I grado e Tfa di II grado, attende ancora di essere attivato ma è gravato dell’ipoteca sindacale che non intende accedere ad un quadro di insegnanti abilitati non inquadrabili nelle forme tradizionali (e perciò controllabili) del reclutamento protetto dall’assistenza del sindacato stesso.

La dice appunto lunga la nervosa richiesta dei sindacati del 18 ottobre u.s., di essere ricevuti dal Miur per “una informativa chiara sullo stato di attuazione delle norme sul Tfa”.

La risposta di Viale Trastevere è quella con la quale siamo partiti. Si vedrà appunto a breve se dovremo assistere ad una nuova puntata di una presunta  “pace cartaginese” o ad una svolta davvero radicale.

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