Reintervengo volentieri sul tema del “reclutamento” o, per dirla meglio, dell’assunzione dei docenti: modifica terminologica non da poco, che senza esitazione abbraccio. Nomina sunt consequentia rerum, e passare dal “reclutamento” all’assunzione e, aggiungo, dalla “funzione” alla professione docente significherebbe restituire culturalmente personalità a un mondo progressivamente burocratizzato.
Le riflessioni di Vittorio Campione meritano di riannodare qualche filo destinato a correre il rischio invece, come ad ogni cambio della guardia, di sfilacciarsi. “La qualità dei docenti da assumere nei prossimi anni richiede due precondizioni: un alto livello di competenza disciplinare e professionale e la trasparenza e la periodicità regolare delle procedure di assunzione” richiamano infatti due ambiti distinti (un conto è l’abilitazione, la capacità certificata di svolgere una professione; altro conto l’esercitarla), ma chiamati ad intrecciarsi.
Sul primo tema, la nuova formazione iniziale dei docenti offre un quadro normativo certo e una serie di input, richiamati all’articolo 3 comma 4 del 249/2010, mutuati dai documenti europei: le competenze di didattica digitale (che non hanno nulla a che fare con la patente ECDL, che sta alle ITC come l’abbecedario sta alla prosa di Boccaccio), le competenze in lingua inglese (senza le quali gli interscambi con l’estero e il dialogo transnazionale della comunità docente sono una chimera), le competenze relative agli studenti con bisogni speciali, almeno sulla carta, sono, oltre alla competenza disciplinare, didattica e “pratica”, condizione necessaria per conseguire l’abilitazione.
Certo, molto dovranno fare le “gambe” e le “teste” non solo degli aspiranti docenti, ma di chi sarà chiamato a formarli, accademicamente o “a bottega”. Per dirla tutta, completata, come è stata completata, la decretazione attuativa della formazione iniziale, si tratta di stabilire, senza cedimenti, le caratteristiche necessarie all’istituzione dei percorsi da parte degli Atenei e delle istituzioni scolastiche adatte a svolgere le attività di tirocinio, con un occhio particolare ad evitare di costruire un “sistema di carta” che, come troppo spesso capita, documenti la qualità anziché praticarla.
Quanto alla seconda condizione (la trasparenza e la periodicità regolare delle procedure di assunzione), ho avuto modo di parlarne, oltre che su IlSussidiario.net, su ItaliaOggi, abbozzando la strada possibile per un modello di assunzione possibile, di rapida attuazione, innovativa, impostato su procedure selettive e che tuteli comunque i diritti acquisiti da tutti coloro i quali, non per loro colpa, sono entrati nel purgatorio delle graduatorie ad esaurimento.
Col necessario codicillo di evitare che chi oggi attende Godot, domani si trasformi in una sentinella della fortezza Bastiani: ma sarebbe così rivoluzionario prevedere normativamente una cadenza precisa degli adempimenti concorsuali al posto della straziante attesa di un cenno da parte della sovrana amministrazione?
Ma sarebbe così difficile segnare tappe che, a scadenza regolare e non sovvertibile, prevedano da subito che, poniamo, il primo lunedì di settembre, ogni due anni, un aspirante si possa sedere a fare la sua prova scritta, per le classi e i posti di volta in volta banditi, senza dover freneticamente compulsare internet con la stessa ansia (e le stesse certezze) con cui un tempo i sacerdoti traevano gli auspici dal fegato degli animali? Possiamo, vi prego, copiare dai francesi e non perpetuare la tradizione amministrativa “dell’ammuina”?
La riflessione di Campione tocca un altro tema, all’epoca appena abbozzato e su cui invece, assieme a molti interlocutori, ho avuto modo di meglio definire e chiarire, a livello concettuale e, sol che lo si voglia, normativo.
Si tratta dell’incrocio tra domanda delle scuole e capacità degli insegnanti. Se si parte, giustamente, da una autonomia scolastica reale e non solo fittizia, se ne deduce che non tutti gli insegnanti sono adatti a tutte le scuole. Che cioè possono esistere peculiarità territoriali, di piano dell’offerta formativa, di proposta didattica o anche necessità (pensiamo alle tante “scuole di frontiera”), tali da richiedere professionalità non altre, ma oltre le capacità standardizzate dalla formazione iniziale e sigillate dai concorsi. Perché, per entrare nel concreto, a Caivano si deve assistere, come testimoniato da Eugenia Carfora, una preside di grande capacità e coraggio, a una girandola di docenti inadeguati a quella particolare situazione, quando ne esisterebbero invece altri, motivati e professionalmente (oltre che disciplinarmente e didatticamente) competenti per affrontare situazioni di precoce drop out? E perché mettere in una istituzione scolastica ad altissima digitalizzazione un docente che neppure è in grado di accendere un pc, e al contrario far finire un esperto in TIC in un istituto del bel tempo che fu? “Ma voi torcete a la religione/ Tal che fia nato a cignersi la spada,/ e fate re di tal ch’è da sermone;/ onde la traccia vostra è fuor di strada”, verrebbe da dire.
La chiave sarebbe nell’intervento su un momento tradizionalmente burocratico e che invece potrebbe rappresentare il vero incontro tra domanda e offerta: la fase dell’assegnazione. Nulla vieterebbe di individuare degli ambiti professionali, debitamente certificati e verificati e non lasciati alla “carta da bollo” del simoniaco “mercato dei punteggi”, che costituiscano titoli preferenziali a fronte di determinate tipologie di scuole o di possibili incarichi aggiuntivi, e magari di farlo non per singole istituzioni, ma per realtà in rete tra loro.
Aggiungo: se il tema del reclutamento dovesse restare, dopo esserci faticosamente entrato, nell’agenda reale del ministero dell’Istruzione, in sei mesi di tempo le soluzioni prospettate sarebbero norma. Giusto in tempo per il primo settembre 2012.