Nel preponderare delle priorità economiche, finanziarie e previdenziali cui il nuovo governo tecnico dovrà mettere mano, sembrava essere passato in secondo piano l’aspetto della valorizzazione del capitale umano, in particolare di quello che sorregge quella che, a detta dei più, è l’istituzione che maggiormente meriterebbe attenzione in Europa, la scuola, se non fosse stato per i due ormai noti e puntuali quesiti che il commissario Olli Rehn ha contrapposto, su questo tema, alle piuttosto vaghe misure anticrisi presentate il 26 ottobre a Bruxelles.
Sul tema della “Promozione e valorizzazione del capitale umano”,l’impegno che “l’accountability delle singole scuole sarà accresciuta (sulla base delle prove Invalsi), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti”, deve essere sembrato piuttosto vago se la successiva richiesta europea verte su come verrà concretamente tradotto in pratica quest’impegno, e vale a dire “come verranno ristrutturate le singole scuole con risultati insoddisfacenti nelle prove Invalsi”. La premessa metodologica, decisamente stringente ma indicativa dell’importanza che l’Europa riserva all’argomento, arriva a chiedere di fornire un concreto piano operativo per la sua adozione e implementazione, compreso lo scadenzario e il tipo di strumenti giuridici che il governo (il nuovo) intenderà utilizzare.
Di possibili soluzioni a questo tema abbiamo già scritto su questo giornale: la pubblicizzazione dei risultati è la via obbligata ma ci preme, con lo spirito di “persone di scuola”, scoraggiare soluzioni tranchant, già evocate, d’immediata chiusura o taglio dei fondi, sul modello inglese: i processi di cambiamento nella scuola non hanno certo i tempi di quelli amministrativi e inoltre il Regno Unito, a differenza di noi, è impegnato in maniera consistente fin dagli anni 90 nella valutazione esterna. Valutazione che ha avuto come primo obiettivo quello di aiutare le scuole in una logica di supporto che, solo dopo alcuni anni, ha portato a soluzioni draconiane. L’Invalsi sta recuperando rapidamente i ritardi, ma non è possibile, in un’esasperata logica del fare presto e d’efficientismo amministrativo, scaricare sulle scuole gli esiti nefasti di colpevoli ritardi che anni di miopia politica hanno accumulato. Il processo di valutazione che porta alla qualità, che l’Europa giustamente chiede, è prima di tutto un processo culturale che va accompagnato e condiviso.
Diverso, a nostro avviso, dovrà essere l’approccio del nuovo governo al secondo quesito sulla scuola posto dal commissario Rehn: “Come intende il governo italiano valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole? Che tipo di incentivi saranno utilizzati a tal scopo?” in risposta al molto generico impegno governativo “Si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo)”.
Chi conosce le italiche vicende in merito alle politiche scolastiche e ai dictact sindacali degli ultimi trent’anni deve aver telepaticamente trasmesso anche oltralpe le sue perplessità su questo ingenuo proposito, che rinvia nuovamente al livello contrattuale quella che invece assume i connotati di una riforma strutturale dello Stato giuridico degli insegnanti, e che come tale deve avvenire per via legislativa e nel più breve tempo possibile. E a chi già, seppure con il buon proposito di agevolare il lavoro del nuovo governo, la liquida come un Godot da non attendere, opponiamo almeno tre valide ragioni.
1. Il ritardo del nostro paese verso un’armonizzazione con il resto d’Europa in termini di costruzione dei requisiti del docente professionista ha radici lontane: citerò per l’ennesima volta la Raccomandazione dell’Unesco che si poneva, già nel lontano ’66, il problema di “individuare i requisiti per una professionalizzazione degli insegnanti” e il Consiglio Europeo di Barcellona che nel 2002 ha posto l’obiettivo di ”ridurre gli ostacoli normativi al riconoscimento professionale degli insegnanti al fine di promuoverne una dimensione europea” entro il 2010, data ormai superata.
2. Mentre la legislazione in questi anni è andata avanti sul piano delle architetture di sistema, l’insegnante italiano è rimasto ancorato ad uno stato giuridico vecchio di oltre 30 anni, in una dimensione impiegatizia, appiattita e priva di possibilità di riconoscimenti di merito professionale e funzionale: insomma legato ad una concezione di scuola ormai socialmente e normativamente superata. Qualcuno ha mai pensato che si potessero ascrivere anche a questo ritardo i nostri deludenti risultati nelle pagelle internazionali?
3. La riforma della governance delle scuole unitamente a quella della riorganizzazione del lavoro degli insegnanti è l’ormai troppo atteso corollario della prima riforma Bassanini della Pubblica amministrazione che ha introdotto, con la Legge 59/1997, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questo Paese l’attende ormai da 15 anni. Qualsiasi persona che opera nella scuola è consapevole che per gestire le complessità di oggi come la progettazione didattica, l’autovalutazione d’istituto e la valutazione dei curricoli, occorrono nuove figure professionali, con una preparazione specifica, che corrispondono a nuovi ruoli e responsabilità che vanno definiti per legge.
Se dovremo accettare i sacrifici economici che il Governo tecnico dovrà predisporre, perché proprio e solo su questo qualificante tema strutturale non dovremmo adeguarci all’Europa? In aggiunta, in Parlamento l’argomento è stato già ampiamente sviscerato nelle commissioni competenti delle ultime legislature. Da ultimo, se può aiutare e per spirito di servizio, vorrei ricordare al nuovo Ministro che questa riforma era contenuta nei programmi elettorali sia del Pdl sia del Pd alle ultime elezioni…