Quando i generali romani e poi gli imperatori celebravano un trionfo, nel momento culminante della gloria lo schiavo che teneva alta la corona di alloro sulla testa del trionfatore gli diceva all’orecchio: Memento mori! Memento te hominem esse! All’arrivo del nuovo ministro potrei arrogarmi il ruolo (non so quanto apprezzato) dello schiavo, modificando la frase memento ministrum educationis esse. Un ministro cioè fra i più impopolari, come dimostra il puro e semplice turn over: fra il 1861 e il 1874 si succedettero quattordici ministri, e fra il 1900 e il 1914 ce ne furono dieci. Il record è probabilmente del ministro Egidio Tosato, che nel 1955 restò in carica per 26 giorni… Ciò posto, e in attesa che la lussureggiante inventiva dei precari, degli studenti e dei giornalisti trovi qualche slogan per il nuovo ministro, è possibile individuare alcune linee prioritarie di azione.



Innanzitutto, non dimenticherei che si tratta di un ministro non solo dell’istruzione, o dell’università, o della ricerca, ma di tutti e tre questi settori: una politica educativa che veda un’integrazione virtuosa fra di essi costituirà senza dubbio un miglioramento rispetto al passato. Basti citare, a esempio di quanto negativo sia tenerli separati, il caso della formazione degli insegnanti, in cui non solo università e scuola hanno seguito e stanno seguendo percorsi paralleli e spesso incomunicanti, ma  i formatori degli insegnanti sembrano ignorare le acquisizioni più recenti degli studi sui processi di apprendimento e della ricerca educativa, che peraltro nel nostro paese mena da sempre vita grama.



Il secondo consiglio è una attenzione alla continuità, perché le decisioni dei suoi predecessori rispondevano, bene o male,  ai problemi sottostanti, che sono rimasti gli stessi: il “ricomincio da capo” del ministro Moratti e la “tecnica del cacciavite” del ministro Fioroni, sostituite dalla restitutio memoriae (e vai col latino…) operata dal ministro Gelmini nei confronti della riforma Moratti si configurano quindi come dannose cause di ritardo nel percorso di costruzione di un sistema formativo italiano più efficace, più equo e – possibilmente- meno inefficiente. L’ordine non è casuale: un sistema in grado di dichiarare i suoi obiettivi e di perseguirli con successo è anche più equo, e quasi certamente più efficiente, mentre non è automatico il contrario. Anzi, il taglio indiscriminato dei fondi peggiora consistentemente il rapporto fra costi e benefici.



Una politica educativa efficace ha poi bisogno di un sistema informativo completo, corretto e aggiornato. Solo recentemente il MIUR ha avviato un collegamento sistematico fra i molti enti e luoghi che raccolgono informazioni sulla scuola e sull’università, di cui si sentiva gravemente la mancanza, non per un malinteso culto della misurazione, ma perché per prendere delle decisioni valide e realistiche, non utopiche o campate in aria, è necessario disporre di informazioni affidabili. Queste informazioni non provengono solo dalle banche dati, ma anche dal sistema di valutazione, attualmente affidato all’ANVUR e all’INVALSI, che a sua volta ha bisogno di disporre di informazioni attendibili.

Dopo averlo teorizzato per anni, come membro dell’ANVUR tocco con mano la necessità di rinforzare e supportare le agenzie, difendendone la terzietà, perché solo responsabilizzando gli attori attraverso una valutazione sistematica e che comporta delle conseguenze in termini di risorse si può sperare di invertire la deriva qualunquistica che sta minando il sistema. Non si può però fare nessuna valutazione, se non in presenza di soggetti autonomi, liberi di decidere il proprio comportamento nel rispetto di alcuni pochi vincoli posti dal centro. Ma una volta affermato che ciascuno è responsabile delle sue azioni, la coerenza e l’efficacia con gli obiettivi vanno assodate da organismi composti di professionisti qualificati, dotati dei necessari mezzi e messi in grado di operare a loro volta in modo libero e responsabile.

Infine, io credo che il nuovo ministro debba cercare di individuare da subito alcuni punti di eccellenza del sistema (nella scuola, nell’università e nella ricerca) e investire su di essi. L’innovazione si diffonde per contagio, e le linee di azione vincenti, come ad esempio, nella scuola, la promozione dell’istruzione tecnica anche di terzo livello e la costruzione di reti, e nell’università il potenziamento dell’internazionalizzazione e l’attenzione al legame con i destinatari del “prodotto”, sia esso la ricerca o la risorsa umana qualificata, devono essere prima sostenute e poi attentamente monitorate.

Resterebbero gli insegnanti. Se si potesse realizzare una seria politica di formazione, reclutamento e carriera dei docenti, nella scuola come nell’università, io sono convinta che le altre riforme sarebbero non dico secondarie, ma certamente meno urgenti. Tuttavia, realisticamente, non credo che sia possibile incominciare da lì: non è casuale che il tentativo che ANVUR sta facendo di spostare verso il merito alcune pratiche troppo arbitrarie di reclutamento dei docenti ci stia attirando ogni sorta di attacchi, incluso il sottile atteggiamento di disprezzo di chi dice parafrasando Manzoni, “vai, vai povero untorello, non sei tu che spianti l’accademia”. E allora forse il nuovo ministro può cercare di operare sotto traccia, ma avendo chiaro in mente che se non si arriva a questo, sarà ben difficile modificare la qualità del sistema.