La cittadinanza automatica ai figli degli stranieri nati in Italia non conferirebbe automaticamente una patente di “italianità”. Va da sé, di conseguenza, che l’ipotesi ventilata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – che ha auspicato che il Parlamento prenda in seria considerazione l’eventualità di legiferare in tal senso – necessità di premesse a paletti affinché non si provochino danneggiamenti all’equilibrio sociale. La pensa così anche Alberto Bonfanti, docente di Storia e Filosofia alle superiori e Presidente dell’Associazione Portofranco Milano; che, raggiunto da ilSussidiario.net, afferma: «Fare in modo che chi è nato in Italia possa avere la cittadinanza italiana, mi sembra un’iniziativa ragionevole. Ovviamente, questo implica che la cittadinanza non corrisponda esclusivamente a un titolo, ma a un desiderio effettivo di integrazione, di conoscenza della nostra cultura e delle nostre tradizioni; oltre che di confronto, pur nella conservazione della propria identità».
In ogni caso, va sottolineato che, in genere, questi aspetti sono desideri sono già presenti nei ragazzi stranieri: «del resto – continua -, posso assicurare, in base alla mia esperienza, che i figli degli immigrati, di norma, vogliono integrarsi». Come procedere, quindi?
«Lo Stato, le istituzioni, o i singoli – chiunque abbia a che far con decisioni che riguardano i figli degli immigrati – non deve aver paura, anzitutto, di partire dalla propria identità culturale, storica e religiosa», dice Bonfanti. «Solamente – continua – da questa premessa può nascere un’ipotesi di confronto con chi ha una tradizione diversa e di riconoscimento di quanto, invece, si ha in comune». Poste, dunque, le premesse, occorre passare all’agire. «Credo che si possa mettere a punto una forma, ad esempio, di verifica della conoscenza della lingua italiana. Alcuni, poi, propongono la conoscenza della Costituzione. Tuttavia, si tratta di nozioni che si apprendono proprio andando a scuola». Per l’appunto, l’integrazione scolastica, spesso, non è esente da problemi. Generati, in genere, dalla folta presenza di alunni stranieri che non conoscono la nostra lingua, in numero eccessivo rispetto a quelli italiani.
Alcuni, pensano che limitare il numero di stranieri per ciascuna classe corrisponda a una forma di razzismo. «Credo che si tratti, semplicemente, di una misura di buon senso. Laddove il numero degli stranieri dovesse essere eccessivo, infatti, si darebbe origine a un’integrazione al contrario…».