Dopo la provocazione del professore di Letteratura italiana all’Università di Trento Claudio Giunta su Il Sole 24 ore di domenica 16 ottobre, si è aperto il dibattito sul nuovo umanesimo che staremmo vivendo, discussione culminata sulla prima pagina del Corriere della Sera del 27 ottobre.

Giunta ha mirabilmente spiegato perché, da un lato, c’è un forte desiderio di cultura diffusa (anzi, proprio di istruzione), e dall’altro non è certamente pensabile di laureare in Lettere una nazione intera. Le facoltà umanistiche, infatti, sono le uniche (o quasi) che non hanno ancora un test d’ingresso, nemmeno orientativo, nonostante siano quelle che offrano meno sbocchi sul mercato del lavoro; tuttavia metterle ad accesso programmato “va contro gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nel ‘processo formativoedè serenamente ignorata dallo Stato. Più studenti s’iscrivono più soldi arrivano, più insegnamenti si attivano, più docenti si sistemano (C. Giunta). Per questo il professore propone un esame d’ingresso alle facoltà umanistiche (…) selettivo (…) sul programma scolastico svolto negli ultimi tre anni in determinate materie; o su un certo numero di libri fondamentali che bisognerebbe aver letto al liceo”. Non si tratterebbe di un vero e proprio numero chiuso (come ipotizzato dalla sottoscritta su Avvenire del 10 settembre scorso) ma di un test orientativo che spinga a frequentare Lettere soltanto chi è davvero portato, e non coloro che vi si iscrivono perché non sanno cosa fare nella vita.



Giunta approfitta di questa provocazione per allargare il discorso e ripensare la mission delle università umanistiche che è formare ottimi insegnanti e intellettuali dotati di senso critico che riescano ad innalzare il tono delle professioni pubbliche (giornalismo, politica)”. Ma per far questo bisogna cominciare da un nuovo umanesimo: migliorando l’istruzione di base, è possibile, probabile forse, che si formino dei cittadini migliori, che all’idea di cultura – di cultura personale, di applicazione e studio – resteranno affezionati anche una volta usciti dalla scuola secondaria”. Questo è il compito principe delle discipline umanistiche nella scuola che anche i giovani insegnanti devono essere pronti ad affrontare.



D’accordo con Giunta è anche Annalisa Andreoni, ricercatrice Iulm, che il 18 ottobre scorso – sempre sulle colonne del Domenicale del Sole 24 Ore –  ha affermato che il rilancio della cultura umanistica non può avvenire trasferendo le biblioteche e i corsi di laurea sulle piattaforme informatiche e ipotizzando di tradurre, a beneficio dei giovani lettori, poeti e scrittori della nostra tradizione. Questo faranno i migliori; gli altri si sono limitati a intervenire in programmi televisivi portando il punto di vista del “filosofo” ed esprimendo dotti pareri su una vastità di argomenti che vanno da Senecaal giallo di Avetrana o presentando il libro del loro migliore amico.



Per l’Andreoni “bisogna investire in quello che è strategico, ed è strategica la scuola, che deve essere difficile e severa, e deve avere le risorse per seguire più da vicino chi avanza lentamente. È in questo percorso che si deve formare la cultura e il senso critico del cittadino, e qui le discipline umanistiche svolgono un compito insostituibile. Le facoltà universitarie, invece, devono essere professionalizzanti. A Lettere, non diversamente che altrove, si deve imparare un mestiere (che sia quello dell’insegnante di scuola media, di critico, di storico, di intellettuale), cosa che prevede la conoscenza di precise nozioni e il possesso di un bagaglio tecnico.

Tuttavia l’idea di un nuovo umanesimo non viene solo da letterati. A tal proposito, originale è stato il contributo del professore del Politecnico di Torino Vittorio Marchis che nel suo Anche i tecnici devono aprirsi” (Sole 24 ore del 23 ottobre) ha auspicato l’ingresso di materie umanistiche (filosofia, scienza umane, sociologia) anche nelle facoltà scientifiche per far in modo che gli studi tecnici diventino più umani e quindi più allettanti (cosa che già accade al di là dell’atlantico dove tra i due tipi di corsi c’è pari dignità).

Ma è con Julia Kristeva (Corriere della Sera del 27 ottobre) che viene “rifondato” l’umanesimo contemporaneo, alla vigilia di Assisi. L’anticipatore, il primo a dare l’idea di uomo agli uomini è Gesù quando si descrive dicendo “Io sono”. E noi possiamo “tras-umanar”, come diceva Dante, soltanto se camminiamo alla ricerca della verità e solo dopo aver capito che rapporto esiste tra l’essenza umana e tutto l’essere che ci circonda, quell’infinito che è la dimensione della nostra libertà.

Per questo ci auguriamo una rifondazione continua dell’Umanesimo anche attraverso rotture che, secondo l’acuta Kristeva, non possono che essere innovazioni.