Caro direttore,
in un recente contributo apparso su IlSussidiario.net, Enrico Gori e Raffaella Marin sostengono che le conclusioni sulla qualità della scuola secondaria inferiore italiana alle quali giunge il Rapporto sulla scuola in Italia 2011 della Fondazione Giovanni Agnelli (Editori Laterza) presentano problemi metodologici e statistici. In particolare, Gori e Marin affermano che l’analisi svolta dai ricercatori della FGA sulla base delle indagini internazionali Timss e Ocse-Pisa: 1. non tiene conto del fatto che alle diverse indagini e nei diversi anni partecipino Paesi diversi; 2. non tiene conto delle divergenze istituzionali dei processi educativi che potrebbero condurre a politiche di selezione differenti lungo il corso della carriera scolastica e dunque al campionamento di gruppi più ristretti e selezionati in alcuni Paesi e gruppi più ampi e qualitativamente eterogenei in altri.
Il primo rilievo è sbagliato: il confronto internazionale è compiuto includendo i soli Paesi che partecipano a tutte le rilevazioni prese in esame. Il campione di Paesi è dunque omogeneo e non risente di fattori di composizione. Peraltro, questa cautela metodologica è espressa a chiare lettere nel testo del Rapporto.
E veniamo così al secondo punto. Il fatto che in molti casi i fattori istituzionali e le specificità dei sistemi educativi possano spiegare gran parte della variabilità osservata nelle performance educative dei vari Paesi è vero. Fanno bene Gori e Marin a ricordarlo. Peccato però che si dimentichino di dimostrarlo, inserendo, ad esempio, il livello di scolarità – da loro stessi suggerito – nelle correlazioni: forse il coefficiente non è quello sperato? Di conseguenza, essi optano per un’interessante razionalizzazione teorico-empirica dell’impatto della cosiddetta “corruzione percepita” sui livelli di istruzione di un Paese, offrendo come validazione della tesi una correlazione di rango. Quanto è robusta la relazione tra livelli di corruzione e livelli di istruzione? Gli autori escludono che si tratti di una “correlazione spuria”. Noi ne siamo meno convinti. Se, infatti, anziché l’indice di corruzione, si calcola la correlazione di rango fra i risultati Timms e il Pil pro-capite o l’indice di mortalità infantile dei diversi Paesi, il coefficiente sale a oltre il 90%. Evidentemente, tutti questi indicatori (corruzione, Pil, mortalità) colgono lo stesso fenomeno, ovvero il grado di sviluppo del paese, che ovviamente influenza anche gli apprendimenti. Un caso da manuale di correlazione spuria.
Infine, un chiarimento. Se Gori e Marin avessero letto attentamente e per intero il Rapporto 2011 della FGA avrebbero potuto notare che i risultati ai quali fanno riferimento nella loro critica non sono affatto conclusivi, bensì meramente introduttivi rispetto al ragionamento svolto all’interno del volume e fondato su analisi effettuate con campioni di decine di migliaia di studenti e docenti. Il confronto internazionale discusso da Gori e Marin è riportato nel Capitolo 1 solo per dare impressionisticamente conto della vox populi sulla scarsa qualità della scuola secondaria di primo grado. Una tesi, questa, che la FGA dichiara di non sposare a priori e si propone di verificare con gli approfondimenti analitici dei capitoli successivi. Ad esempio, non è affatto da questi dati che discende la nostra conclusione sulle maggiori responsabilità delle scuole medie rispetto alle elementari, ma da un’analisi di pseudo-panel effettuata su 8.600 studenti italiani, i cui risultati nei due ordini di scuola sono stati legati diacronicamente.
Aver inteso quel passaggio introduttivo come la conclusione del Rapporto vuol dire o non aver letto oltre pagina 10 il volume, oppure averlo letto al contrario.
Andrea Gavosto (direttore della Fondazione Giovanni Agnelli)