In Italia, secondo i recenti dati dell’Istat, il tasso di scolarità per elementari e medie si attesta attorno al 100%, mentre per le superiori siamo comunque vicini alla totalità, con un tasso del 92,3% per l’anno 2009/2010. L’aumento della scolarizzazione nel corso degli anni – fa presente l’istituto di ricerca –, ha fatto sì che ci fossero sempre più italiani istruiti. Ad oggi, il 33,9% ha un diploma di scuola superiore, l’11,1% un titolo di studio universitario. Percentuali che, specie per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria, dovrebbero lasciar ben sperare per il futuro del paese. Di per sé, infatti, sembra un fattore positivo il fatto che nel tempo il tasso di scolarizzazione sia aumentato a tal punto. «C’è da chiedersi: a quale prezzo?», si domanda Roberto Sani, professore di Storia dell’educazione ed ex rettore dell’Università di Macerata che, interpellato da ilSussidiario.net, sottolinea come, nel tempo, si sia determinata una profonda crisi di conoscenza. «I livelli di scolarizzazione sono stati fatti in assenza di interventi personalizzati e risorse adatte a far sì che tutti i soggetti ricevessero un’educazione adeguata. Di conseguenza, si sono abbassati gli standard qualitativi. Siamo riusciti a creare una scuola di massa, ma caratterizzata, generalmente, da un calo dei livelli di scrittura o nella comprensione dei testi». La democratizzazione del sistema scolastico, di per sé rappresenta un fattore positivo; «ma non è stata realizzata contestualmente al mantenimento di seri processi di apprendimento. Un qualunque insegnante in buona fede si rende conto che il fenomeno riguarda tutti i comparti dell’istruzione italiana, dalle scuole elementari all’università».



Il livellamento ha una causa e un inizio. «E’ attribuibile, anzitutto, alle riforme degli anni ’60, quali la liberalizzazione dei piani di studio o l’indiscriminato accesso all’università, dal quale ne è conseguita una sempre minor attenzione alla preparazione dei docenti. Nel frattempo, sono venuti meni i raccordi tra la scuola media e quella secondaria; e, in nome di un falso egualitarismo, si è rinunciato a qualunque forma di monitoraggio e valutazione». Secondo il professore «si sono confuse le opportunità di partenza con il consentire a chiunque di raggiungere i livelli massimi dell’istruzione. Ha prevalso la logica gentiliana secondo la quale la cultura è solo quella del liceo, di stampo umanistico che, a sua volta, identifica lo status sociale dell’individuo».



Molti hanno creduto che ottenere un tale status fosse il lasciapassare per la propria rivalsa sociale. «Contemporaneamente, si è svalutata la concezione del lavoro manuale, tecnico e artigiano. L’illusione che tutti potessero raggiungere i livelli più alti ha determinato, in parte, l’attuale situazione». La selezione che non è stata fatta nel corso del ciclo educativo la sta facendo il mercato. «Vi è un’elevatissima disoccupazione intellettuale, mentre dobbiamo chiedere agli stranieri di occuparsi di quei mestieri che gli italiani non vogliono fare più. La richiesta di falegnami e carpentieri, ad esempio – conclude –, è tra le più alte e, al contempo, tra le più inevase».  

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