Un cavillo giuridico, l’ennesimo, impedisce ancora la partenza del Tfa transitorio, l’unico possibile percorso abilitante dopo l’entrata in vigore del Regolamento sulla formazione iniziale, che consentirebbe a tanti giovani insegnanti neolaureati o in servizio senza l’idoneità prevista per insegnare, di potere conseguire l’ambito titolo necessario per accedere alla professione.
Nel frattempo i sindacati della scuola approfittano della inevitabile sospensione dei ritmi amministrativi dovuti all’assestamento del nuovo governo per porre le loro condizioni. Vediamo di riassumere gli ultimi tratti di questa storia che assomiglia ormai ad un romanzo russo: ad ogni svolta nuovi personaggi, nuovi paesaggi, esasperante lentezza dei tempi.
Dopo l’appello L’Italia è un paese per vecchi? e le oltre 14mila adesioni raccolte in pochi giorni all’inizio di settembre, Gianni Letta e il vicepresidente della Camera Lupi mediarono, il 10 settembre, tra il ministro Gelmini e alcuni tra i primi firmatari del manifesto, portando il Miur ad attestarsi sulle seguenti posizioni: i posti disponibili per il Tfa transitorio nelle scuole secondarie di I e II grado passavano da 10mila a 13mila; nel contempo, l’Amministrazione si impegnava a diramare una indicazione all’università sollecitandola a fornire una offerta formativa in vista di una eventuale ulteriore implementazione dei posti.
Di seguito, con nota congiunta del 12 settembre, i vertici amministrativi dell’Istruzione e dell’Università invitavano gli atenei a indicare entro il 7 ottobre, per ciascuna classe di abilitazione, la loro offerta formativa, in termini di disponibilità di studenti iscrivibili ai corsi di Tfa e di Laurea magistrale per l’insegnamento nella secondaria di I grado in rapporto alle capacità ricettive, e suggerivano alle direzioni scolastiche regionali di collaborare con le università nella determinazione di richieste plausibili.
Trascorso il tempo stabilito, il 14 ottobre il Miur pubblicava l’offerta formativa delle università (oltre 26mila posti complessivi per il Tfa di I e II grado), facendola precedere da una precisazione relativa ai criteri di cui avrebbe tenuto conto al momento di incrociare i numeri delle università e il proprio calcolo del fabbisogno, in cui richiamava la coerenza con il decreto attuativo n. 139 del 4 aprile 2011: quello stesso decreto che restringeva notevolmente il campo di azione dei posti prevedendolo “esiguo”. In effetti, pareva scontato che il “lodo Letta” dovesse aprire ad un incremento delle disponibilità da accordare alle università, ben oltre il numero dei 13mila posti, ma così non era, a causa del richiamo al “vincolo” del fabbisogno.
Passava un altro mese o poco meno tra calcoli e ricalcoli, finché l’11 novembre, come ultimo atto prima del suo ritiro, in seguito alle dimissioni del premier Berlusconi, il ministro Gelmini firmava due decreti attinenti le modalità di accesso ai percorsi formativi di abilitazione per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria, nonché ai percorsi di tirocinio formativo attivo (Tfa), assieme ad altri dispositivi sui numeri del Tfa e delle Lauree magistrali, dei quali, però, non era dato conoscere il contenuto.
Il 16 novembre prestava giuramento il nuovo governo Monti e in qualche modo, almeno a giudicare le mosse delle organizzazioni sindacali, si cercava di riaprire i giochi sul Tfa e dintorni.
Dai comunicati dei sindacati della scuola degli ultimi giorni si apprende che le recenti disposizioni sul Tfa transitorio, che avrebbero finalmente consentito a tantissimi giovani di conseguire l’abilitazione all’insegnamento, saranno riscritte. Ancora una volta sembra che il sindacato voglia dettare le linee, i contenuti e i tempi della politica scolastica, arrogandosi anche il diritto di essere l’unico interlocutore rappresentativo della società civile.
Qual è il cavillo giuridico (e qui veniamo al punto)? Il 30 novembre i sindacati, dietro loro insistente richiesta, vengono convocati in Viale Trastevere. Secondo quanto riferisce lo Snals, nel corso dell’incontro il direttore generale dell’Università, dott. Livon, avrebbe chiarito che i due decreti datati 11 novembre, essendo atti interni al Miur regolarmente firmati dal ministro allora in carica, dovrebbero soltanto completare il loro iter per la registrazione. Invece, il decreto relativo alla programmazione delle lauree magistrali di I grado e quelli relativi al Tfa, prima della firma da parte del ministro del Miur, avrebbero dovuto recepire il parere del ministero dell’Economia e Finanze e quello del ministero della Funzione Pubblica. Ergo, poiché la crisi di Governo è intervenuta prima della formulazione dei citati pareri, l’iter dovrebbe riprendere dall’inizio come atto del nuovo ministro.
Il resoconto della riunione fornito dalla Cisl riporta i fatidici numeri finora considerati top secret. Ecco la testuali parole: “Nei provvedimenti firmati dal precedente ministro l’attivazione dei corsi di laurea magistrale per la secondaria di primo grado avrebbe previsto 2.802 accessi, a fronte di un fabbisogno stimato dal Miur in 2.493 unità e di un’offerta delle Università per 6.046 posti. Per i percorsi di Tfa destinati al primo grado gli accessi autorizzati sarebbero stati 4.275, a fronte di un fabbisogno di 4.626 unità e di un’offerta universitaria di 7.239 posti. Per il Tfa del secondo grado, 15.792 accessi autorizzati, in presenza di un fabbisogno stimato in 5.659 unità e un’offerta universitaria pari a 19.125 posti”.
Come si vede, il Miur non avrebbe fornito le consistenze nelle loro articolazioni e la loro distribuzione nelle sedi universitarie, e tuttavia si sarebbe attestato, prima del nuovo ultimatum sindacale, su un numero di posti per il Tfa transitorio di medie e superiori che oltrepassa i 20mila accessi (una cifra soddisfacente e mediana tra i 26.364 proposti dagli atenei e i 13.285 concordati in precedenza dal Miur).
Il sindacato nel suo insieme si oppone a questi numeri facendo leva sul riesame dell’intero pacchetto dei provvedimenti già firmati. Può farlo? A nostro avviso no, per le ragioni addotte precedentemente: la programmazione degli accessi è un atto tecnico-politico che compete al Mef e alla Funzione Pubblica, anzitutto, e quindi al Miur, tenuto conto di tutto quello che è accaduto in questi lunghi mesi di trattative e accese dialettiche.
La questione dei giovani aspiranti all’insegnamento è ancora tutta aperta, dopo che da quattro anni si attende una soluzione. Le aspettative non dovrebbero essere ulteriormente deluse.