“Ma che cosa fa? Sta sparando a Dante?!” Così mio figlio, dodicenne, osservando la copertina del libro di Davide Rondoni, Contro la letteratura: e proprio il silenzioso, implacabile ed impunito assassinio di poesia ed arte in genere, che quotidianamente verrebbe perpetrato a scuola, è il tema/problema intorno al quale ruota il pamphlet rondoniano, non a caso sottotitolato Poeti e scrittori una strage quotidiana a scuola.



La posizione del poeta bolognese è chiara e assolutamente razionale, dal suo punto di vista: i metodi con i quali noi docenti di lettere presentiamo la letteratura italiana ai nostri studenti hanno reso e rendono quest’ultima invisa o, nella migliore delle ipotesi, noiosa ai ragazzi – lo dicono le statistiche sulle (non) abitudini di lettura degli adolescenti italiani -; aboliamo quindi tale insegnamento, anzi no, rendiamolo facoltativo: solo chi, tra docenti e studenti, è veramente interessato ed appassionato alla parola letteraria terrà (se docente) e seguirà (se studente) quelli che potremmo chiamare “corsi di lettura” dei testi più belli e importanti della nostra tradizione letteraria.



Dunque, la strage di cui si parla nel titolo del volumetto è sia la constatazione di un dato di fatto, sia una proposta, che parrebbe volutamente provocatoria, per non dire dissacratoria: eliminiamo i testi di Dante e Manzoni dal curriculum obbligatorio; diamo agli studenti le informazioni necessarie e sufficienti ad un italiano di cultura media sulla biografia e sul “contesto” (è una tra le parole più prese di mira da Rondoni) degli autori, e lasciamo solo a chi ne abbia il desiderio, e quindi la richieda, la lettura diretta di Divina Commedia, I Promessi Sposi, Orlando Furioso, ecc.



La proposta può lasciare perplessi: ha il sapore delle utopie, positive o negative che siano, ma sempre utopie, avanzate da chi nel luogo scuola entra solo come riverito ospite, in qualità di ”esperto esterno”: perché chi nella scuola lavora invece ogni giorno dovrebbe smettere di tentare di far appassionare gli studenti alla parola letteraria, a quel viaggio dentro di sé e nella bellezza che essa rappresenta? Per il fatto che tante volte l’esito è infelice, cioè assente? Tante volte, ma non sempre!

“Armata” di queste considerazioni, ho partecipato giovedì scorso all’incontro-dibattito Andar a scuola con poeti e scrittori, organizzato dall’associazione Diesse per l’appunto con Davide Rondoni, sul suo libro e sulla sua proposta. La rinuncia allo show sanremese di Benigni per la promessa fatta ad un’amica di partecipare alla serata è stata premiata: ho capito, attraverso le parole dell’autore e le sue risposte alle domande del pubblico, ancorché non numeroso come ci si sarebbe potuti attendere, che l’idea di Rondoni (il poeta non vuole che la si chiami provocazione!) non vuole essere un atto di accusa agli insegnanti italiani, ma la presa d’atto del fallimento del paradigma illuminista di trasmissione del sapere, basato su una concezione enciclopedica (sapere un po’ di tutto) della conoscenza.

Partendo dalla constatazione che oggi arte e conoscenza si trasmettono invece come avvenimento, Rondoni propone, chiede di far tornare avvenimento – cioè fatto che cambia – la lettura dei testi letterari; ma perché un testo cambi, o possa cambiare lo studente, esso deve prima di tutto cambiare il docente, o meglio, il docente, nel mentre lo legge, e quindi lo propone, deve essere la prova vivente, per lo studente, del fatto che quel testo, quelle parole, stanno dicendo qualcosa di bello e di vero a lui, docente, e perciò anche, purché egli lo voglia, allo studente. Due sono le condizioni materiali che questa proposta richiede: che venga riportato al centro dell’insegnamento il testo letterario, liberato da tutti gli orpelli del famigerato (rondonianamente) “contesto”, e che il docente accetti di farsi strumento vocale del testo, cioè che sia capace di darne una lettura degna di tale nome.

Rondoni stesso riconosce che questa tendenza già esiste nella scuola: ci sono esempi di “buone pratiche” (bontà sua!), ma spesso, troppo spesso, esse sono rese qualitativamente e quantitativamente minoritarie dal prevalere di un approccio al testo o di tipo storicistico o, come lui lo chiama, “scientista”, cioè, potremmo parafrasare, filologico-strutturalista. Occorre avere il coraggio di osare almeno una nuova organizzazione del cosiddetto “piano di lavoro annuale”: preoccuparsi di svolgere non tutto “il programma” (intanto, chi controlla?), ma del fatto che gli studenti possano gustare, attraverso la lettura, la bellezza del testo, anche di uno solo (per esempio, l’intero Inferno di Dante): sarà poi il desiderio di rincontrare altrettanta bellezza che li spingerà a leggere, da soli, altri testi.
 

L’obiettivo dell’insegnamento non deve essere più quello di formare dei critici letterari in miniatura (obiettivo peraltro destinato al fallimento), ma quello di aprire lo sguardo e la mente dei discenti alla strordinarietà della letteratura: “Uno degli errori d’impostazione dell’attuale generale modo di insegnare la poesia e la letteratura è il tentativo di fare dei ragazzi degli esperti. Invece che degli amanti” (Contro la letteratura, pag. 29). E la formazione universitaria di noi docenti, inevitabilmente anche tecnica (storica, linguistica o filologica che sia), a che serve, a questo punto? A sottrarre l’interpretazione (altra parola chiave rondoniana) dello studente all’arbitrio e all’immediatezza della reazione emotiva, è la risposta di Rondoni.

Ma perché rendere facoltativo questo insegnamento? Perché, spiega Rondoni citando Pennac, il verbo “leggere” non sopporta imperativi, così come il verbo amare: a differenza di altri oggetti di conoscenza – esempio quelli della cosiddette scienze esatte – l’arte non può prescindere, per essere conosciuta, dalla libertà di chi vi si pone davanti. Il ragazzo deve trovare in sé e da sé la motivazione per studiare letteratura, e la trova se capisce, anche per merito dell’insegnante, ma non solo, che quelle parole hanno qualcosa a che vedere con lui, hanno e avranno sempre, ogni volta che egli le rileggerà, qualcosa da dirgli. La facoltatività dell’insegnamento sarà anche (e sottolineo anche, perché c’è sempre di mezzo la libertà dello studente) una prova della validità e bontà dei metodi impiegati da chi la insegna, cioè sarà una sfida ed un rischio per l’insegnante (nel libro si parla anche del problema della formazione e del reclutamento dei docenti).
 
Le domande degli insegnanti presenti in sala hanno espresso da una parte un certo sconcerto, soprattutto per le parti meno realizzabili nell’immediato della proposta (vedi facoltatività dell’ora di letteratura), dall’altra il desiderio di poter valorizzare e rendere prevalente nel proprio insegnamento quanto di quello che Rondoni propone già vi si trova.
Sì, giovedì sera è stato un avvenimento: venerdì mattina il mio modo di leggere e spiegare in classe I Promessi Sposi è stato diverso.
 

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