Gli attacchi anche violenti al progetto di premialità dei docenti recentemente presentato non hanno probabilmente tenuto conto del fatto che si tratta dell’esito dell’accelerazione di un processo reso inevitabile dalla realizzazione dell’autonomia, quello di differenziazione del ruolo docente, che si manifesta in almeno tre dimensioni:
1. le funzioni, con l’introduzione di una carriera docente;
2. l’orario di servizio, con una distinzione fra insegnanti a tempo pieno, con un’espansione del tempo non impiegato direttamente nelle lezioni, e insegnanti a tempo parziale;
3. il rendimento, che in presenza di un sistema di valutazione finalizzato a tenere sistematicamente sotto controllo il processo di realizzazione dei progetti educativi, consentirà eventualmente di introdurre degli incentivi per i docenti che avranno ottenuto i migliori risultati in termini di miglioramento del servizio ottenuto dalla scuola.



Non è possibile realizzare l’autonomia senza un processo sistematico di valutazione della qualità del sistema educativo, in quanto una scuola autonoma trae la propria legittimità dalla capacità di raggiungere i suoi obiettivi: il processo di valutazione del personale costituisce una parte indispensabile del controllo globale, ed è una verifica di congruenza delle prestazioni dei docenti, e in genere degli operatori, con i fini della scuola in cui lavorano, e quindi non è innanzitutto finalizzata ad attribuire premi o a formulare graduatorie, anche se il raggiungimento degli obiettivi è tanto più probabile quanto più le scuole sono libere di allocare le proprie risorse non in modo uniforme, ma per ricompensare chi lavora di più, o chi ottiene i migliori risultati.



Sarebbe necessario perciò che qualsiasi decisione sulla valutazione (che a mio parere non è materia di contrattazione sindacale, ma tocca il cuore della professione) venga presa dopo un’accurata riflessione e non tanto tenendo conto del parere dei singoli insegnanti (soluzione che mi pare demagogica), quanto valorizzando il contributo delle associazioni professionali che li raccolgono introno a caratterizzazioni disciplinari o ideali. Posto che la valutazione è irrinunciabile (a meno che non si ritenga che tutelare gli insegnanti significa garantire loro per contratto il diritto alla mediocrità), è innanzitutto necessario vagliare con molta maggiore serietà il possesso dei requisiti per entrare in servizio, e in secondo luogo ricordare che in molti paesi l’esito negativo della valutazione, se si ripete nel tempo, comporta l’allontanamento dal ruolo docente.



Se al momento il problema principale è quello di risolvere una situazione di stallo, in modo possibilmente non contraddittorio con quelle che saranno le scelte di medio periodo sulla carriera insegnante, e quindi con carattere sperimentale, mi sembra che si debba rispondere una volta per tutte all’obiezione ricorrente che è difficile trovare gli strumenti per valutare gli insegnanti. Altri paesi hanno da tempo adottato con successo indicatori molto validi, che poterebbero essere adottati anche da noi, con gli opportuni adattamenti, anche per distribuire degli incentivi, o per accelerare la carriera degli operatori, ma solo se rappresentano un riconoscimento del ruolo svolto nel miglioramento del servizio educativo effettuato nella scuola. Mi pare che non sempre gli insegnanti colgano il fatto che il loro miglioramento personale (corsi di aggiornamento, letture e quant’altro) ha senso solo se ha conseguenze concrete sulla qualità del servizio.

Nel medio periodo, proporrei di introdurre nel contratto una differenziazione molto più forte fra docenti e docenti “funzionari”, tenendo presente che se continueranno ad insegnare avranno necessariamente un orario più lungo collegato alle loro funzioni. Questa differenziazione avviene ex ante e non ha nulla a che vedere con il “merito” o la “valorizzazione della professionalità docente”; chi svolge queste funzioni complesse sa già all’inizio che sarà pagato di più, e sarà poi valutato in base ai risultati che ottiene e alle capacità che dimostra, esattamente come i suoi colleghi.

Proporrei di esaminare i costi e le modalità di attuazione di un contratto per gli insegnanti in cui la retribuzione sia composta di tre parti:
 

1. una parte uguale per tutti, che retribuisce il normale lavoro di insegnanti, per l’attuale monte ore. Questa parte aumenterà secondo i normali scatti di anzianità, e corrisponde alla valutazione di routine dell’esercizio della professione;
2. una seconda parte, per gli insegnanti che svolgono funzioni dedicate a compiti progettuali, organizzativi e di raccordo con l’ambiente esterno, corrispondente a un impegno orario superiore, che verrà percepita per tutto il tempo in cui la funzione stessa verrà svolta con esito positivo;
3. infine, una terza parte collegata alla qualità del servizio: questa valutazione, in una scuola autonoma che abbia un organo di governo presieduto da un capo di istituto cui la dirigenza assegna precise responsabilità nel conseguimento degli obiettivi formativi, può essere data solo all’interno, sia pure con criteri generali indicati centralmente e con un controllo esterno della correttezza delle procedure di audit).

Chi teme vendette del preside fascista sui docenti di sinistra (o viceversa), insipienza degli organi gestionali o complicità fra docenti e preside, ha una ben bassa stima della scuola in cui vive. Non si dimentichi che se si introduce una verifica a rotazione fra tutte le scuole, sul modello di altri paesi europei, essa comprende anche la valutazione dei docenti. Abolirei del tutto i meccanismi concorsuali, se non per il passaggio da un ruolo all’altro (per legge per i dipendenti statali), puntando piuttosto, se si vuole introdurre una valutazione esterna, sulla presentazione dei risultati ottenuti dagli alunni e – perché no? – sul giudizio degli studenti e delle famiglie.

NB. Questo testo, in forma più estesa e fatte salve le parole in corsivo, è stato da me pubblicato tale e quale nel numero di marzo del 2000 della rivista Nuova Secondaria, a commento del fallimento del “concorsone” indetto dall’allora ministro Luigi Berlinguer. Se nel 2020 ilsussidiario.net esisterà ancora, non buttatelo. Potrà venire buono.
 

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